Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
“Francesca”: la commedia transeuropea sbarca in (dalla) Romania
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
04/12/09 – A causa delle polemiche facilone ancora in corso per un paio d’offese a politici italiani che appaiono nei suoi dialoghi, “Francesca” di Bobby Paunescu ha rischiato, e rischia tuttora, di sfuggire a una pura valutazione cinematografica, come sempre accade quando intorno ai film si alza un velo o polverone di scandalo. Se si accantona tutto ciò e ci si concentra sull’opera, è piuttosto mortificante constatare che stavolta il cinema romeno non si è confermato fertile come sempre è apparso negli ultimi anni, e che narrativamente l’opera di Paunescu è assai poco efficace. “Francesca” è un film piccolo, e vuole esserlo, ma alla resa dei conti da piccolo si trasforma in esile, facile, scontato, narrativamente piatto e infelice.
Il canone del film europeo d’impegno civile si sta lentamente cristallizzando in genere trans-nazionale, seguendo luoghi, personaggi e stili sempre più lontani da una specificità culturale. A livello narrativo uno dei segni distintivi più ricorrenti è l’andamento “piano”, senza scosse, un pedissequo realismo che mette in gioco storie e personaggi sempre meno credibili. Realismo che alla fine non ha nulla di realistico, in quanto le figure umane rappresentate appaiono sempre più spesso sommatorie di luoghi comuni culturali. In “Francesca” si nota pure un inganno narrativo di fondo, non si sa fino a che punto consapevole e calcolato: l’inganno del “pedinamento” quotidiano, alla Zavattini, d’aria neorealistica e privo di enfasi drammatica, tramite il quale si vorrebbe pervenire a narrazioni di pregnante presa sulla realtà. Il personaggio di Francesca è indagato secondo tali canoni: lunghe inquadrature fisse di solo dialogo, un inseguimento costante del personaggio nelle sue quotidiane peripezie per realizzare il proprio sogno, gusto per il dettaglio quotidiano (si veda l’insistenza sulle attività domestiche, sul rapporto con la madre, sul non-bello degli interni, sui tempi morti della vita passati in cucina a farsi spuntini di mezzanotte…). Tuttavia, l’inganno emerge con forza quando si confronta l’andamento narrativo con la sostanza dei personaggi. Non è sufficiente pedinarli per trasformarli in credibili. Di fatto, Paunescu pedina luoghi comuni, nutrendo i profili umani dei suoi personaggi di un evidente e artificioso didascalismo in funzione di una sorta di riscatto culturale nazionale. Un divertentissimo personaggio comico di Paola Cortellesi, l’inviata Silvana, continuava a ripetere riguardo ai suoi intervistati partenopei, “E’ napoletano però è una brava persona”. Paunescu sembra fare la stessa cosa con Francesca. Per spazzare via pregiudizi culturali, l’autore finisce per compiere il medesimo errore, sia pure di segno opposto: Francesca è romena, però è illuminata, acculturata, vuol trasferirsi in Italia per aprire un asilo per bambini romeni (iniziativa, tra l’altro, piuttosto discutibile, visto che escluderebbe i bambini romeni dalla prospettiva di una vera interculturalità). Francesca è una romena europea, pare voler dire l’autore. E se alla fine il suo sogno s’infrange, è tutto per colpa di una criminalità descritta con infinita faciloneria.
La Romania è stata spesso tacciata di essere impreparata all’entrata in Europa, e Paunescu ci vuol dimostrare il contrario: il popolo è pronto, ma la criminalità è una pesante zavorra. Purtroppo, però, tale idea è veicolata da mezzi narrativi corrivi e banali. Dialoghi fitti di parole sentite e risentite, che non danno mai l’impressione di appartenere a quel personaggio specifico, ma a un qualsiasi periodico di approfondimento giornalistico. Ad aggravare la situazione, si percepisce un’evidente operazione di addolcimento delle tematiche. I conflitti, alla fine, sono un po’ tutti smussati, e spesso tira aria da commedia transeuropea, in cui non c’è posto per il vero dramma. I canoni della commedia europea, che si sono venuti formando negli ultimi venti anni, prevedono narrazioni lievi, quando non scanzonate, di problematiche sociali (vd. la commedia britannica delle ultime generazioni), dominate da un sentimento ecumenico verso ogni realtà. Così anche in “Francesca” fa capolino, per esempio, l’inevitabile amico gay della protagonista, figura senza alcuna funzionalità narrativa, se non quella di testimoniare che pure i gay romeni iniziano ad acquisire una visibilità e riconoscibilità sociale (come a voler dire “Anche noi in Romania abbiamo i gay, e li trattiamo bene: perciò siamo pronti per l’Europa”). I criminali, che pure sono cattivissimi, sconfinano spesso verso il grottesco survoltato, e ciò li svuota di realismo. Solo il finale si permette una pagina di vero dramma.
In tal senso, tutto il progetto narrativo di “Francesca” si piega all’unico scopo di restituire dignità culturale al popolo romeno, e di affermare con forza la sua preparazione per l’Europa Unita. Scopo meritorio, in fin dei conti. Purtroppo Paunescu finisce per piegare anche il proprio cinema al gusto corrente europeo, e nel far questo appare sin troppo pronto ad allinearsi a un’Europa dalla quale, evidentemente, vuol essere apprezzato a tutti i costi. Con buona pace delle specificità culturali, e, in ultima analisi, della qualità narrativa.