Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Best-seller all`europea: “Uomini che odiano le donne”
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
30/05/09 – Sull`onda dell`enorme successo editoriale arriva al cinema anche la trilogia di Stieg Larsson, con il suo primo capitolo Uomini che odiano le donne. Si tratta di un giallone nel pieno spirito delle operazioni best-seller, fenomeno prettamente anglosassone che stavolta si è concretizzato in terra scandinava, e che, per la prima volta, ha visto cinematografie appartate e poco inclini al grande spettacolo sfruttare l`occasione per imbastire un filmone di largo consumo. L`operazione in sè non è disprezzabile; per permettersi un buon cinema d`autore è sempre necessaria, a mio avviso, la presenza di un solido cinema medio e industriale, ed è proprio questo, spesso, a mancare a molte cinematografie nazionali europee. Se Uomini che odiano le donne porterà grandi incassi e, di riflesso, contribuirà a una maggiore visibilità del cinema svedese e danese nel resto del mondo, ben vengano anche le operazioni autoctone di largo consumo. Tuttavia, Uomini che odiano le donne mostra qualche problema strutturale nel suo rapporto col genere, e nel procedere della narrazione si fa sempre meno interessante. La storia ha un buon avvio, i due improvvisati protagonisti indagatori (specie il personaggio di Lisbeth) cercano di disegnarsi come figure inconsuete, con una propria dimensionalità personale che li liberi dallo schema grigio e rigido del puro detective. Poi, però, la narrazione segue gli schemi del giallo in modo scolastico, accumulandoli e giocandoli senza alcuna inventiva. Le false piste si affastellano, ma malgrado il loro continuo moltiplicarsi è sorprendente come si capisca il colpevole alla sua prima apparizione. Magari non ci è ancora chiaro il movente, ma che quella persona è l`infame è chiarissimo a tutti. E il luogo narrativo della falsa pista si trasforma in puro affanno scolastico per arruffare le carte.
Secondo dato: le deduzioni della coppia di detective non subiscono il minimo intoppo. Scavalcano le varie false piste in un batter d`occhio. Un giornalista e una hacker che farebbero sbiancare Sherlock Holmes. Se un giallo sceglie la strada della detection a pari passo con lo spettatore, deve dare però il tempo allo spettatore di seguirne i ragionamenti e gli sviluppi. E magari, per farsi davvero avvincente, deve scontrarsi con qualche reale difficoltà . Si va avanti, invece, scoprendo sempre cose nuove più o meno in ogni sequenza (fatte salve le parentesi personali dei due protagonisti e del loro romance), tanto che verso la metà le false piste s`iniziano a dimenticare, e l`interesse dello spettatore svanisce a poco a poco.
Terzo dato: non è certo necessario risalire ai precetti di Hitchcock e alla sua ossessione per il movente cristallino, ma la soluzione tutta affidata alla psicosi o alla tara familiare è fin troppo comoda. Con la follia si può giustificare tutto, e in tal senso il movente, se pure alla fine esiste, è poco rilevante ai fini della storia.
Quarto dato: la narrazione rispetta anche un altro schema tipicamente best-seller (e molto americano), ossia lo sviluppo di un subplot conchiuso in sè che non ha diretti legami con la vicenda principale, ma che comunque dovrebbe creare senso in relazione a essa. E` tutta la parte del tutore perverso che ricatta Lisbeth, che si conclude più o meno a metà del film. Nell`economia globale della storia questo filone narrativo fa solo da controcanto al tema della violenza sulle donne, ma non lascia tracce di sè. Non è nemmeno didascalico, ma semplicemente fine a se stesso.
Quinto dato, più antropologico e meno narratologico: perchè i film scandinavi, in un modo o nell`altro, flirtano spesso col genere della saga familiare e annessi traumi incestuosi? Pura curiosità , e magari ignoranza di chi scrive; forse nel Nordeuropa ciò costituisce una piaga sociale di cui in Italia non si è mai venuti a piena conoscenza.
Sesto dato, più endemico al recente cinema nordeuropeo: ineluttabile freddezza nella narrazione dei personaggi. E` impossibile amare o odiare questi personaggi. Lo stesso colpevole non suscita nè repulsione nè compassione; è neutro, come una pura funzione narrativa. Si tratta di una sensazione generalizzata a tutto il film, costruito per l`appunto sul rispetto di asettiche funzioni narrative prive di empatia o realismo. Insomma, cinema best-seller, d`accordo. Ma più che a una rilettura europea del genere, pare di assistere a un centone di convenzioni narrative trasversali a tutto il cinema occidentale di consumo.
Articoli correlati:
Uomini che odiano le donne