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Puntuale come ogni anno, la premiata ditta Boldi-Medusa si presenta in anticipo all’appuntamento con il cosiddetto cinepanettone: genere diventato, da qualche tempo a questa parte, fenomeno transtagionale. Nonostante la sua collocazione nelle sale distanziata rispetto a quella, canonica, delle festività, Matrimonio a Parigi resta fedele in tutto e per tutto allo schema imposto dai fratelli Vanzina collocandosi a pieno titolo nel filone del film vacanziero. Come da tradizione, l’impianto resta infatti fedele a un meccanismo consolidato costruito su un ricco cast assortito – tra caratteristi di mestiere e scosciate starlettes – intorno al mattatore lombardo al servizio del consueto intreccio farsesco di situazioni e tipi nazional-popolari in trasferta all’estero. Così, se il riferimento all’attualità nel tema dell’evasione fiscale non è altro che un pretesto sul quale costruire, nel ribaltamento dello stereotipo regionale, lo scontro comico tra il personaggio di Boldi – imprenditore lombardo tutt’altro che ligio ai suoi doveri di contribuente – e quello di Biagio Izzo – integerrima guardia di finanza napoletana, allo stesso modo l’ambientazione parigina si presta esclusivamente allo scopo di fornire gli spunti per uno humor giocato sul calembour di grana grossa e il francese maccheronico.
E se la sceneggiatura (di Gianluca Bomprezzi ed Edoardo Falcone) si ferma al canovaccio da avanspettacolo, la regia di Claudio Risi si accontenta di assecondarne il retroterra episodico e volgarotto (ma più puerile che turpe) in un mero affastellamento sopra le righe di sketch autoconclusivi e gag ormai vetuste, in barba alla più elementare cura della messa in scena, tra inquadrature tagliate con l’accetta, location posticce, doppiaggio fuori sincrono ed errori di continuità à go-go. Il tutto all’insegna di un product-placement smaccatissimo perfino rispetto agli standard nostrani che arriva addirittura a presentare di persona il titolare di uno degli sponsor, suggellando la già raffazzonata atmosfera all’insegna di un gusto dozzinale iperbolico ed eccessivo quanto ingenuo, al quale si finisce per guardare quasi con indulgenza. Sopra le righe – ça va sans dire – anche la prova dei pur validi interpeti costretti tra mimica facciale e macchietta televisiva tra i quali è però doveroso segnalare l’exploit del re del porno Rocco Siffredi – guest star e vera sorpresa della pellicola – che, al suo debutto nella commedia, rivela una verve brillante e un’inaspettata autoironia, offrendo nei suoi duetti con Massimo Ceccherini, le uniche (e comunque poche) vere occasioni di risata.
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