Diario dell’11 febbraio dalla 61. Berlinale
(Dalla nostra inviata Lia Colucci)
12/02/11 – La seconda giornata della Berlinale non è certo iniziata in maniera spettacolare. Il primo film presentato in concorso è stato Margin Call che seppur si avvalesse di un cast d’eccezione – Kevin Spacey, Jeremy Irons, Stanley Tucci, Zachary Quinto, l’oramai data per dispersa Demi Moore – e fosse diretto da JC Chandor, non ha fatto che rafforzare quell’ondata di buonismo tutto americano che attraversa Wall Street. Da Wall street – Il Denaro non dorme mai, dove osserviamo con rammarico la conversione del vecchio Gekko, a Margin Call, appunto, dove il crac di una società quotata in borsa genera una serie di crisi umane e morali. Bilanci esistenziali che andrebbero rivisitati con appositi psicoanalisti.
Tutto si svolge in 24 ore: la fine della società e già segnata ed Eric Dale (Stanley Tucci), il primo d essere licenziato, è anche il primo al corrente di tutto. In queste 24 ore capi e super capi si riuniscono in laceranti riunioni ma tutto è perduto. Unico tocco di realismo è qualche piccolo tentativo di corruzione che, però, nel caso di Dale non va a buon esito. La società andrà a picco infrangendo migliaia di piccoli sogni americani, di mutui da pagare, di macchine in lifting. Restano solo le immagini desolate di Kevin Spacey in lacrime che scava nel suo giardino qualcosa di molto misterioso e Jeremy Irons che mangia in solitudine davanti allo straordinario panorama che la sua torre di Wall Street ha su Manhattan.
Il secondo film in Concorso, di Paula Markovitz, è stato ancora meno convincente. La storia ambientata nell’Argentina del 1970, quindi durante il regime, racconta di una madre e di una figlia che vivono in una specie di baracca fronte al mare. Costretta a mentire sulla sua vita, sulla sua famiglia, l’esistenza della bambina si riduce a una continua bugia che la travolge sino a diventare insopportabile da gestire. Ma alla fine la ribellione prende il sopravvento e così la piccola Ceci si scaglia contro il regime e lo accusa di aver ucciso sua cugina. Un film sulla rivolta e sull’omertà: un tema già piuttosto battuto dal cinema, che nulla toglie e nulla aggiunge. Un’autobiografia piuttosto piatta e qualche volta anche deludente visto il delicato tema scelto.
Questa seconda giornata del Festival ha anche presentato il primo omaggio a Jafar Panahi con Offside, film con cui il regista iraniano vinse l’Orso d’Oro nel 2006 proprio alla Berlinale. La pellicola narra la commovente storia di una partita di calcio valevole per la qualificazione dell’Iran ai Campionati mondiali. Le donne, pur con le ben note opposizioni governative, fanno di tutto per assistervi. Intanto un vecchio padre cerca la figlia per paura che faccia parte dell’evento. Il finale ottimista e liberatorio lascia sperare in un Iran diverso che non si è concretizzato in questi anni e che anzi ha visto il regista in prigione come dissidente. Alla Berlinale in Giuria c’è una sedia vuota: la sua.