Italian Graffiti
Percorsi italiani nella (s)memoria cinematogrfaica collettiva
“Casotto” (1977) di Sergio Citti: lo sguardo dell’altro come fonte di osceno, tra cascami di commedia all’italiana, metafisica e cast delirante
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
27/07/10 – Dell’irrancidimento della commedia all’italiana negli anni ’70 si è già avuto modo di parlare da queste pagine. I canoni anni ’60 si estremizzano, il grottesco si fa sempre più stilizzato e virulento, il riso si fa glaciale. Un riso impassibile, se ci è permesso l’ossimoro. Casotto, in realtà, prende vita non tanto e non solo dal carattere survoltato della commedia dei suoi anni, bensì va a sposarsi all’intima poetica di un autore tra i più originali e appartati del cinema italiano, il Sergio Citti collaboratore di Pier Paolo Pasolini che passò dietro la macchina da presa da “autodidatta”, sulla scorta dell’esperienza raccolta a fianco del poeta-regista friulano. Dotato di una formazione cinematografica prettamente intuitiva, Citti si profila come l’unico erede diretto del cinema pasoliniano, di cui raccoglie temi, luoghi e acredini varie che s’intrecciano con la personalità naif di un regista realmente preso dalla strada. Un “accattone” che vede e dirige. Il cinema più pasoliniano che non venga direttamente da Pasolini, lontano anni luce da manierismi d’accatto o da falsa ispirazione imitativa.
Perciò appare insufficiente, e sostanzialmente sbagliato, apparentare Casotto alle derive sulfuree della commedia nostrana sulla fine degli anni ’70. Citti costruisce il suo film su una catena narrativa compattissima, e su un atteggiamento espressionista ai limiti di Brecht. Il vero protagonista del film è lo sguardo dell’altro, inteso anche (forse solo intuitivamente) come sguardo metacinematografico. E’ solo e soltanto lo sguardo dell’altro che sancisce l’osceno, anche nel caso delle maggiori ripugnanze. Solo l’occhio estraneo, lo sguardo della macchina rende sgradevoli l’intellettuale inglese munito di due peni, il militare minidotato e i vari testicoli che ballonzolano fuori dai costumi da bagno. Espressionismo, tempi comici che non hanno mai una netta e corriva evidenza, metafisica attraverso la più totale concretezza dei corpi. Concretezza materica della più “primitiva” e preborghese. Casotto, in tal senso, è anche testimone di una stagione creativa italiana delle più libere e impensabili, e probabilmente irripetibili. Dove tutto è mostrato ma senza morbosità, anzi con atteggiamento platealmente anti-morboso. Piedi zozzi, pudenda ovunque, gelati mangiati dopo averli usati per lenire bruciature sulle piante dei piedi… Citti, intuitivamente o meno, va in controtendenza. In epoca di plumbea cattiveria, egli racconta storie ancora più sciatte e crudeli ma con sguardo puro e quasi benevolo, anzi con sguardo al di qua del giudizio.
Che dire, infine, del casting? La più grande curiosità, ovviamente, risiede nel trovare nel “casotto” una Jodie Foster ancora adolescente, appena reduce da Taxi Driver. Nelle interviste della sezione extra del dvd, sia Vincenzo Cerami (autore della sceneggiatura) sia Mariangela Melato cercano di spiegare come la Foster fu coinvolta nel progetto. Ma tuttavia qualsiasi spiegazione appare insufficiente, tale è lo stupore di ritrovarla nipotina di Paolo Stoppa, doppiata in romanesco. E tale è la meraviglia nel constatare che Citti fu capace di renderla credibile, con la sola forza del suo sguardo (la Foster non parlava una parola d’italiano, e Citti parlava solo romanesco), in un contesto così “impossibile”.
E con queste scene delirantemente estive, anche Italian Graffiti vi augura buone vacanze e vi dà appuntamento alla prossima stagione.
Michele Placido spalma la crema per il sole a Jodie Foster: