Dal nostro inviato ALESSANDRO ANIBALLI
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al regista:
A tre anni da La terra degli uomini rossi – Birdwatchers, in concorso nel 2008 alla Mostra del Cinema di Venezia, torna alla regia Marco Bechis con il documentario d’archivio Il sorriso del capo, presentato alla 29/a edizione del Torino Film Festival nella sezione Festa mobile – Figure nel paesaggio. Incaricato da Cinecittà Luce di lavorare sull’immenso repertorio d’archivio per montare un film compiuto, Bechis ha scelto di concentrarsi sulle meccaniche ideologiche del ventennio fascista, sulla spaventosa macchina propagandistica messa in opera in quegli anni, per ricordarci del resto che il potere demistificatorio dell’immagine prosegue ancora oggi. Senza volervi insistere troppo, è indubbio però che vi sia un legame – a livello di immaginario e di costruzione del consenso – tra certe esternazioni di propaganda del fascismo (come il miracoloso e chiaramente falso salvataggio di una poppante da parte di un gruppo di balilla) e non poche manifestazioni di ideologia berlusconiana (una canzone quale Meno male che Silvio c’è, ad esempio).
Nel lavoro di Bechis si possono vedere non pochi reperti rarissimi, se non inediti, da un giovane Vittorio De Sica che scherza sulla crisi post-ventinove a un comizio di Mussolini tenuto a Torino, un comizio che è il vero centro nevralgico del film, un leit-motiv che torna più volte e che fa da controcanto alle sequenze più propriamente propagandistiche (quelle relative ai giornali o al mondo della scuola, a quello della pubblicità o alle famigerate scritte sui muri come “credere, obbedire, combattere”). Il sorriso del capo compie un primo passo verso uno studio del materiale del Luce; solo un primo passo però perché la decostruzione di quell’ideologia attraverso l’analisi delle immagini è sì portata avanti da Bechis, ma non forse in modo così rigoroso come magari sarebbe stato possibile lavorando per esempio su un montaggio ancor più espressivo. Bechis invece tende a mostrare delle scene compiute e non direttamente collegate l’una all’altra, se non per l’appunto nell’idea di un mare magnum della propaganda da cui attingere in modo pressoché inesauribile. E forse si sarebbe preferita anche una maggiore personalizzazione dell’opera, qui affidata – con ottima scelta stilistica e autoriale – alla voice over che si verrà a scoprire appartenere alla voce del padre del regista, Riccardo Bechis. Ma è possibile che – vista la commissione – Bechis abbia potuto limitare solo ad alcuni tratti il suo punto di vista autoriale.