Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Probabilmente in Italia l’abbiamo vista in cinque perché la Rai prima l’ha acquistata e poi l’ha censurata per i suoi contenuti (pare poco adatta a noi irreprensibili e “moralissimi” italiani!) e gettata in pasto alle terza serata di Rai 2 prima e Rai 4 poi. Stiamo parlando di Weeds, che negli USA trasmessa da Showtime, è diventata col passaparola un vero è proprio cult. Seppure anche lì il cult si limiti alla nicchia del pubblico della tv via cavo, come ebbe a sottolineare Chris Rock quando consegnò nel 2006 il Golden Globe alla sua protagonista che vinceva contro tutte le “desperate housewives”, all’epoca al massimo della loro popolarità mediatica. Perché in effetti Nancy Botwin qualcosa in comune con le casalinghe più popolari del globo ce l’ha. Anche lei facente parte della periferia suburbana della classe media è rimasta improvvisamente vedova e nel quartierino bene le bollette bisogna pur pagarle, quindi perché non mettersi a spacciare erba agli annoiati e asfittici vicini?
Mary-Louise Parker dopo aver rifiutato il ruolo di Susan Mayer accetta quello di Nancy Botwin perché la serie di Jenji Kohan palesa un intento critico nei confronti della classe media molto più aggressivo di quella di Marc Cherry. Agrestic è meno conciliante di Fairview, nonostante anche lì nascondano cadaveri nei bauli e si ammazzino madri e suocere, dove alla fine l’elemento sentimentale supera l’acidità velenosa nelle ultime stagioni. Rispetto allo show di trasmissione generalista, Weeds tiene bene la crudeltà sarcastica, ma in comune possiede lo stesso ritmo narrativo paradossale e ai limiti dell’esasperazione, attraverso una comicità sopra le righe che, però, al contrario qui diventa via via sempre più cupa, tanto da acquisire totalmente un registro nuovo (anche se molto meno efficace). La comicità si intreccia con una presa di posizione politica ed etica nei confronti del governo americano, con la guerra in Iraq e tutti i meccanismi distorti di una società ai limiti della follia e della maniacalità, sempre in totale contraddizione con se stessa e la sue parvenze, la propria schiavitù al mondo dell’immagine e dell’apparire da dover mantenere a tutti i costi. La galleria dei personaggi che ruotano attorno a Nancy è una caricatura, neanche troppo eccessiva considerato certi comportamenti tenuti da certa classe sociale; infatti il personaggio dell’amica e vicina Celia Hodes è forse il più azzeccato nella costruzione di perfetta ipocrisia che si è creata intorno a se stessa. Il suo perbenismo è davvero odioso, non riusciamo a trovare qualcosa di positivo in lei, nessuna sfumatura di bontà che magari si nasconde dietro la corazza d’acciaio, come invece accade con quella di una Bree Van De Kamp ad esempio. E d’altronde la mancata speranza di riscatto e libertà per questa gente vittima dei canoni che si è voluta creare non è possibile e la sigla Little Boxes, entrata già nel mito, canta proprio questa grande tragedia.
Titolo originale: id.
Creatore: Jenji Kohan
Interpreti: Mary-Louise Parker, Elizabeth Perkins, Kevin Nealon, Justin Kirk, Andy Milder, Hunter Parrish, Alexander Gould, Romany Malco, Tonye Patano
Produzione: USA, 2005 – in corso
Durata: 30’ circa (76 episodi suddivisi in sei stagioni);
Distribuzione originale: dal 7 agosto 2005 su Showtime;
Distribuzione italiana: Rai 2 (autunno 2006, inverno 2009), Rai 4 (2010/2011)