Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
Colombo: anatomia di un investigatore
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti – SPECIAL GUEST EDITOR: EMANUELE RAUCO)
22/04/10 – Pietra miliare. Capolavoro di un genere. Genesi del miglior personaggio della storia della tv. Questo è molto altro è Columbo (nome originale del personaggio e titolo originale della serie): ma è semplicemente il miglior giallo della storia della televisione. Creato nel ’68 da William Link e Richard Levinson per un film tv tratto da una loro pièce, diventato serie nel ’71, interrotto nel ’79 e poi ripreso dieci anni dopo, senza una cadenza fissata ma come serie di film tv autonomi (un po’ come successo a Perry Mason) per soddisfare l’enorme richiesta dovuta al successo delle numerose repliche. Fenomeno comprensibile anche qui, visto che Rete 4 trasmette da 30 anni episodi della serie ogni domenica, raccogliendo almeno 2 milioni di spettatori a volta (e anche Fox Crime si da’ da fare). La trama è quella di ogni giallo che si rispetti: c’è un omicidio perfetto, ci sono indizi incomprensibili, c’è un poliziotto che deve risolvere il caso, ci sono sospettati, c’è un colpevole. Ma la prospettiva è ribaltata: l’assassino lo vediamo subito, sappiamo chi è il colpevole, sappiamo come ha architettato il delitto. Quello che c’interessa è scoprire come il crimine verrà svelato. Da whodunit (chi l’ha fatto), il giallo diventa howdunit (come l’ha fatto), e oltre, visto che dall’assassino, dalla sua identità, il centro dell’attenzione si sposta sul detective, sul modo in cui arriverà al successo.
La struttura che è, appunto, il primo dei due motivi dello strepitoso successo del tenente: tutta la prima parte, circa 20-25 minuti, servono per farci conoscere l’assassino, il suo problema e il suo movente, la stesura del suo piano e l’attuazione, facendoci vedere la genialità, ma anche gli impercettibili errori che porteranno al fallimento, giocando con lo spettatore in assoluta onestà (al contrario del giallo tradizionale) e mettendolo in parità con il detective. Poi, all’arrivo del tenente cominciano le indagini, che probabilmente hanno anticipato di molti anni serie come Law & order o C.S.I., vista la perizia assoluta e bizzarra con cui viene perlustrata la scena del crimine, gli oggetti, gli indizi e i dettagli, le cose fuori posto, “i fili pendenti” (come li chiama il tenente) che serviranno poi a tessere la tela. E poi i minuziosi interrogatori e la crescita dei sospetti. Il giallo, le regole narrative, ma soprattutto quelle comunicative, vengono perentoriamente stravolte, assieme alla percezione del racconto e del genere da parte dello spettatore, che vede la logica razionale sposarsi con un senso psicologico freddo e ironico, lontano dall’umanesimo di Maigret o di Montalbano, e più vicino a Poirot, grazie al quale Levinson e Link hanno creato una delle serie più hitchcockiane della storia della tv, a volte anche più di Alfred Hitchcock presenta, dove alla sorpresa ludica della scoperta del colpevole – che pure in tv ha raggiunto l’apice con un’altra creazione firmata Link-Levinson, cioè Ellery Queen – si sostituisce la tensione dell’indagine, della scoperta graduale alla luce del sole e la suspense propriamente detta dell’attesa dell’inevitabile, della scoperta, di un gioco a scacchi in cui vittima e carnefice si confondono.
E veniamo al secondo motivo del suo successo: la grandiosità del personaggio principale, un poliziotto d’origini italiane (quindi già pesce fuor d’acqua a Los Angeles), sbadato, distratto, spesso assonnato, completamente liso e scipito nel look, capace di sorridere e rassicurare, ma un sostanziale bonaccione. All’apparenza, perché Colombo in realtà usa questa sua maschera per confondere i criminali, per concedergli un vantaggio psicologico che puntualmente, farà a brandelli, indizio dopo indizio, sguardo dopo sguardo (e l’occhio di vetro aiuta molto), battuta dopo battuta, con un’ironia sorniona assolutamente adorabile. Per creare un personaggio che ha solcato le epoche, arrivando finora al 2003, c’era bisogno di un protagonista eccellente: Peter Falk lo è senza dubbio, cesellando un carattere di straordinaria ricchezza e complessità e riuscendo a illuminarlo col suo sguardo, la sua straordinaria gestualità, i lineamenti buoni dietro a un sottile impeto; e riuscendo a fare il salto al protagonismo, dopo anni di onorata carriera in seconda linea, interpretando il personaggio di una vita (tanto da prendersi in giro ne Il cielo sopra Berlino, di Wenders). Se siete curiosi, allora vi suggeriamo i due episodi migliori, per chi scrive, della serie, vale a dire Colpo grosso a Scotland Yard e il meraviglioso Donne pericolose per il Tenente Colombo, in cui Faye Dunaway s’innamora – forse ricambiata – del tenente. Così da poter cominciare, o rivivere, una lunga saga all’insegna dell’inconfondibile “Scusi…un’ultima cosa…”.