(Dal nostro inviato Alessndro Aniballi)
28/04/09 – Avendo scambiato in questi giorni qualche battuta con alcuni cittadini di Udine incontrati sia in treno che, ad esempio, al giornalaio, abbiamo potuto verificare – intuitivamente – come di anno in anno il Far East sia riuscito a radicarsi nella città che lo ospita, incuriosendo anche gli abitanti non particolarmente avvezzi al mezzo cinematografico. Un buon contributo in tal senso è venuto in questa edizione dall`ottima trovata di marketing avuta dal festival di piazzare una serie di bancarelle con l`obiettivo di esporre (e vendere) la sempre allettante oggettistica orientale (manga, pupazzetti, kimoni, teiere, ecc.); bancarelle che sono state strategicamente allestite lungo via Manin, l`arteria del centro storico più frequentata dalla cittadinanza. La giornata cinematografica è invece iniziata con un’amara commedia sentimentale, If You Are the One, firmata da Feng Xiaogang, lo Spielberg cinese amatissimo in patria. E va detto che questo regista infallibile al box-office sta anche acquisendo di film in film una sempre maggiore competenza e consapevolezza dei propri mezzi. Sono ormai lontani per lui i tempi di A World Without Thieves, visto al Far East 2005, goffa storiella propagandistica sui buoni sentimenti. Già l`anno scorso con The Assembly, una sorta di de-epicizzazione della guerra non troppo dissimile negli intenti da Flags of Our Fathers, ci era sembrato che Feng avesse saputo proporre un discorso complesso e compiuto, oltre ad aver dimostrato una discreta sicurezza nella messa in scena. Tutte queste qualità vengono confermate dalla visione di If You Are the Onee emancipano, persino, il film da un soggetto alquanto banale (lui ama lei, lei ama un altro, ma accetta comunque di stare con lui). Infatti, nel suo eclettismo, Feng ha scelto di tornare al genere da lui privilegiato, la commedia, che riesce qui a connotare di ottimi dialoghi, bei paesaggi, situazioni malinconiche e insieme divertenti, tanto da poter affermare che If You Are the Onesi candida per ora al titolo di miglior commedia mandarina vista in questi primi giorni di programmazione (pare infatti che ce ne saranno altre, a conferma di una radicale inversione di tendenza del pubblico e della produzione cinesi, sempre più avvezzi all`evasione).
Sarà un caso, ma il primo grande film di questo festival, Fish Story, è anche il primo film giapponese che ci sia capitato di vedere nella presente edizione del Far East. Il regista è quel Yoshihiro Nakamura che avevamo biasimato lo scorso anno per l`abborracciato The Glorious Team Batista, maldestra riscrittura del medical thriller all`americana. Non è stata poca perciò la sorpresa di fronte alla complessità di questo suo nuovo film, che intreccia storie diverse ambientate in differenti epoche storiche (una anche in un ipotetico 2012, in prossimità della fine del mondo), facendole interagire grazie a uno straordinario montaggio “concettuale” e riunendole solo nel finale in un unico, sorprendente e commovente “flusso” inter-generazionale. L`insolito leit-motiv della pellicola è dato dalla canzone di un gruppo punk giapponese, incisa nel 1975 e venduta in pochissimi esemplari, che in qualche modo risulterà decisiva per la salvezza del mondo. Nakamura riesce a comporre un variegato puzzle narrativo, permettendo di ragionare sul destino e sul caso, oltre che sulle residue speranze salvifiche da affidare ad outsider per vocazione, siano essi una insicura e fallimentare punk-band o un frustato ragazzino costretto per carattere a subire le angherie del prossimo o, ancora, una teen-ager solitaria e imbranata che ha dimenticato di scendere alla fermata giusta di un traghetto.
Delude invece l`ultimo film di Satoshi Miki, il cui cinema avevamo imparato ad apprezzare nella scorsa edizione del festival. Stavolta con questo Instant Swamp, Miki dà l`impressione di essersi lasciato sopraffare dal gusto del particulare perdendo per strada il discorso complessivo. Quel che in una pellicola come Adrift in Tokyo aveva trovato una splendida sintesi fra l`eccentricità delle trovate e la malinconia del plot (la ricerca della paternità ), viene qui purtroppo disperso a favore delle prime (pur restando in sottofondo il tema della quest paterna), che tra l`altro ci sono parse decisamente meno ispirate rispetto al passato. Un po` fiacco ci è sembrato anche il film che ha chiuso la giornata, Somtum di Nontakorn Taweesuk, che peraltro è già la terza pellicola di arti marziali thailandesi in tre giorni di festival! In Somtum l`estetica cheap tende decisamente verso l`amatorialità , mentre le potenzialità grottesche della storia sono annacquate nel giro di un paio di minuti: la folle idea di far trasformare in un goffo mostro rosso un turista australiano dopo avergli fatto assaggiare una tradizionale pietanza thai si sgonfia subito, perchè questi, invece di fare sfaceli in giro per il mondo, si limita a rompere un paio di piatti per poi ritornare in sè.
Finita la giornata si rientra in albergo alle due di notte circa e si cammina per Udine quel tanto per rendersi conto di essere le uniche figure ad animare le vie cittadine; l`urgenza del lunedì mattina lavorativo non riguarda i festivalieri, strani animali disposti a dormire cinque o quattro ore a notte pur di vedere un film in più.