Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Cinema noir americano anni ’60 con un pizzico di action-movie per la storia di un uomo solitario che fa la controfigura per il cinema (stuntman) e per arrotondare l’autista per grandi rapine. Freddo, meticoloso, attento porta avanti la sua vita – regolare, cupa, fatta di notti uguali ad altre notti, come ci racconta il suo vagare in auto per le strade – fino all’incontro con la sua vicina (Carey Mulligan finalmente ‘utilizzata’ per un ruolo intenso), bella, giovane, pura, madre di un bimbo che riesce a scalfire la corazza che l’uomo si era creato. Con lei il primo sorriso (Ryan Gosling anche solo con un cambiamento facciale minimo, cambia colore e ritmo alla scena), sulla guancia del bambino la prima carezza e con il piccolo, il primo contatto umano (anche visivamente il loro pomeriggio al laghetto è la prima scena luminosa di tutto il film). Ma da tale momento, non solo ritroverà umanità ma suo malgrado, finirà in una serie di guai a catena e quindi un’ulteriore trasformazione in angelo vendicatore: la scena dell’ascensore quando si trasforma in belva omicida pur di salvare la ragazza e poi la guarda come se fosse avvenuto in quel momento, attraverso quello sguardo il cambiamento, e la caduta, il punto di non ritorno è una delle scene da antologia della pellicola. Possiamo parlare di cambi di registro anche rispetto alla struttura scenica dove ogni inquadratura è energica e giocata per far parte di un gioco ad incastri perfetto senza mai essere scontata anche se spesso possono cogliersi anche qui omaggi ai suoi autori di culto (Michael Mann, Quentin Tarantino e Paul Thomas Anderson).
Ricordiamo che il film nasce come adattamento del libro omonimo di James Sallis che poi Hossein Amini – sceneggiatore di The Wings of a Dove (Henry James) – ha sfoltito sensibilmente togliendo soprattutto il continuo gioco di rimandi e soprattutto i flash-back che avrebbero appesantito inutilmente la narrazione. Partendo da esso, Nicolas Winding Refn ha curato in maniera maniacale tutte le ambientazioni, i volti e l’equilibrio tra tutti i personaggi sullo schermo, ponendo grande cura anche per il tratteggio caricaturale dei personaggi secondari. Cambi di registro che portano lo spettatore a seguire la vicenda che per la prima volta, per il regista danese, si sposta su suolo americano e che dopo Pusher (1996), Bleeder (Venezia 1999), Inside Job (Sundance 2003), Il guerriero silenzioso (Venezia 2009), non ha deluso le aspettative, continuando sulla traiettoria della sperimentazione con uno stile fresco e moderno. La musica riesce a creare un connubio perfetto con le immagini soprattutto nelle scene dove torna quasi come il tormentone che anticiperà l’arrivo della violenza.
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