31/03/10 – È forse conosciuta ai più per essere stata, lo scorso anno, la prima pellicola giapponese a vincere l’Oscar come miglior film straniero (a sorpresa oltretutto), ma Departures rappresenta sicuramente molto più di questo. Cadenza ritmica, potenza visiva, sobrietà narrativa costituiscono l’essenza di un’opera che, con un approccio molto personale e “locale”, tocca temi universali e quindi “globali”.
Il giovane Daigo decide di abbandonare Tokyo e la sua carriera di violoncellista e tornare con la sua giovane moglie nel paesello e nella casa in cui è cresciuto con l’amata madre. Qui trova lavoro come “nokanshi”, ovvero una figura professionale che si occupa di preparare, secondo antichi rituali di vestizione, lavaggio e posizionamento del corpo, il defunto prima della cerimonia funebre. Con un insolito mescolamento di ironia grottesca e riservata malinconia, il prolifico regista giapponese Yojiro Takita affronta un tema naturale quanto rimosso come la morte. Scegliendo di raccontarla attraverso la ritualità nel contesto di una società moderna e troppo distratta da altro per coglierla nella sua reale accezione, l’autore mette in circolo tanti altri temi paralleli e fondamentali. Primo fra tutti proprio il confronto tra tradizione e modernità, in cui si evidenziano le contraddizioni di un popolo che, più di tanti altri, ha subito in brevissimo tempo la lacerante distruzione della sua antica cultura per far posto ad una quotidianità straniante e anonima. Attraverso la caleidoscopica visione del protagonista Daigo – la sua propensione per un’arte emozionale come la musica, il suo ritorno alle radici dalla città alla provincia – vengono raffigurati i rapporti umani e i sentimenti più essenziali, come la tenerezza per la figura materna, l’astio per quella paterna assente. È assolutamente rassicurante e rispettoso il tono con il quale questo film riesce a mettere in luce la necessità umana di dover aggrapparsi a comportamenti e cerimoniali antichi per poter compiere il passo dell’accettazione della perdita, nonostante le recriminazioni, i problemi e le distrazioni di cui il rapporto con il defunto può essere stato oggetto mentre era ancora in vita.
Nel suo essere profondamente commovente, Departures non si approfitta del ricatto morale ed emotivo, tranne forse, ad un’attenta analisi, nella parte finale della pellicola, dove l’asciuttezza generale fino ad allora ricercata lascia spazio a qualche nota di sentimentalismo un po’ ruffiano. Ciononostante, il poetico lirismo concesso all’approccio narrativo dell’intera opera, vive di una semplicità che ne determina la compattezza stilistica, cui si legano anche la splendida colonna sonora del riconoscibile Joe Hisaishi, già al servizio di Takeshi Kitano e Hayao Miyazaki, e la calda fotografia di Takeshi Hamada. Takita si concentra sulle solitudini umane, sul senso del rispetto e con grande dignità e sobrietà tocca molte corde personali, umane preferendo questi elementi e la semplicità di una regia uniforme ed esplicativa a velleità più ricercate e artefatte. In fondo, è proprio questo anche il sottotesto etico che vuole trasmettere. Nonostante il film sia “profondamente” giapponese, accessibile attraverso la sincerità del processo narrativo e il candore del racconto – programmato attraverso una sceneggiatura tanto lineare quanto attenta ai dettagli più sottili e trasparenti – con riferimenti più o meno consapevoli ai grandi maestri del passato, non lascia estraneo neppure lo spettatore occidentale, altrettanto coinvolto attraverso le emozioni dalle quali viene sentitamente toccato.
Titolo originale: Okuribito
Produzione: Giappone, 2008
Regia: Yojiro Takita
Cast: Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue, Kimiko Yo
Durata: 131’
Genere: drammatico
Distribuzione: Tucker Film
Data di uscita: 9 aprile 2010