Dopo il non memorabile tentativo di Allen Coulter con Remember Me, è toccato al regista di Constantine e Io sono leggenda , Francis Lawrence, l’arduo compito di sdoganare il giovane Robert Pattinson dallo status di idolo delle teen-agers conquistato con la saga di Twilight, per rilanciarlo come sex-simbol presso un pubblico più adulto.
Ambientata negli anni della Grande Depressione, la storia – tratta dal romanzo di Sara Guen e raccontata in un lungo flashback dal protagonista ormai anziano – è quella di Jacob Jankowski, aspirante veterinario costretto dall’improvvisa morte dei genitori che lo lascia senza soldi né casa, a cercare fortuna in un circo gestito da August, uomo spietato e privo di scrupoli. Conquistata la fiducia del padrone e concupitane l’infelice mogliettina acrobata, Jacob si ritrova presto intrappolato in un tormentato ménage, ulteriormente complicato dall’affetto per la principale attrazione dello spettacolo: l’elefantessa Rosie. Lawrence dirige con diligenza e mestiere, imbastendo un canonico dramma sentimentale “per signore” tanto elegante e patinato, sul piano di una confezione nella quale l’ottima ricostruzione d’epoca si sposa alla suggestiva fotografia di Rodrigo Prieto, quanto ordinario e banale su quello di una vicenda fin troppo convenzionale per aggiungere qualcosa al genere o anche solo farlo funzionare a livello di un coinvolgimento emotivo dello spettatore. Scritta da Richard LaGravenese, veterano del polpettone romantico, la sceneggiatura si dipana infatti secondo i più usurati cliché del genere tra concessioni al buonismo, stucchevoli forzature nella verosimiglianza di azioni e situazioni, in una narrazione stanca ed estenuante nella sua chiusura ad ogni guizzo o sorpresa ma, all’opposto, più che prevedibile tanto nell’evolversi della storia d’amore quanto degli inevitabili risvolti tragici.
Unica nota di merito della pellicola rimane così lo sguardo concreto su un’attrazione, quella circense, che ne rivela senza troppe reticenze le regole di crudeltà verso gli animali e sfruttamento del lavoro, laddove neppure il cast si rivela in grado di trovare una sua efficacia, col tarantiniano Christoph Waltz in un villain sopra le righe ai limiti della macchietta e l’improbabile femme fatale incarnata da Reese Witherspoon con il consueto piglio acidulo e puntuto della maestrina pronta a bacchettare gli allievi indisciplinati. Quanto al “nostro” attore britannico, alle prese con un ruolo forzatamente seducente e piacione, riesce a cavarsela pure con dignità, benché sia indubbiamente troppo presto per parlare di una raggiunta maturità.
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