Sarà l’immortalità di storie capaci di attraversare i secoli senza perdere il loro appeal presso adulti e bambini, sarà la natura archetipica dei personaggi, o la moltitudine di sottotesti che le aprono alle più svariate declinazioni, certo è che le fiabe non hanno mai smesso di esercitare il loro fascino sull’industria hollywoodiana. Una tendenza in gran rispolvero negli ultimi tempi, come testimoniano alcune recenti operazioni: se nel 2011 è toccato alla Bella e la Bestia e Cappuccetto Rosso oggetto delle disastrose riletture di Daniel Barnz (Beastly) e Catherine Hardwicke (Cappuccetto rosso sangue), questo è l’anno di Biancaneve, protagonista di un adattamento diretto da Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore) con Kristen Stewart e Charlize Theron, e della versione qui in oggetto, diretta da Tarsem Singh.
Al talentuoso regista di origine indiana spetta, infatti, il compito di misurarsi con il noto racconto dei fratelli Grimm rivisitandolo in chiave di commedia, al servizio di una sontuosa messa in scena e di un cast accattivante, per una pellicola di grande spettacolarità quanto incapace di convincere fino in fondo. Biancaneve parte all’insegna delle migliori aspettative con un suggestivo prologo realizzato in animazione, con la doppia funzione di introdurre la vicenda e di farci pregustare l’approccio ad essa riservato. Come in una sorta di dichiarazione d’intenti, Tarsem rivela un registro acuto e beffardo, nel suo saper cogliere il potenziale grottesco insito nella fiaba con un taglio più improntato al tongue-in-cheek – ammiccante, nel rispetto dei canoni, e tutto riposto nel trattamento riservato ai personaggi – che alla parodia vera e propria. Così, se la malvagia regina-matrigna è presentata come una sorta di tardona arrivista aggrappata al miraggio della bellezza che fu e in cerca di un uomo con cui sistemarsi, il principe è un bellimbusto palestrato costantemente messo in ridicolo ed esposto ad ogni fonte di imbarazzo. E se appare del tutto azzeccata la scelta di fare dei sette piccoli amici di Biancaneve (interpretati da attori realmente affetti da nanismo) una gang di agguerriti ladruncoli, allo stesso modo si spera ci sia dell’irrisione nella scelta di affidare il ruolo da protagonista all’irsuta Lily Collins, altrimenti tutt’altro che credibile nei panni della soave e leggiadra fanciulla.
Ma le magagne non tardano ad emergere, annidandosi in primo luogo in uno script totalmente inconsistente che tenta, invano, di aggirare la prevedibilità della storia in una successione sconnessa di battute e gag, spassose sì, ma non in grado di andare oltre l’accumulo gratuito e, alla lunga, estenuante. Dal canto suo, la regia, insolitamente contenuta, si dimostra debole e ripetitiva nel suo giocare sempre sugli stessi punti macchina e sulla scelta di inquadrature sbilanciate che sviliscono lo straordinario apporto di scenografie e costumi (curate dai fidi Tom Foden e dalla compianta Eiko Ishioga) ispirati al periodo elisabettiano, per riscattarsi nei soli piani frontali, i soli nei quali Tarsem riesce a dare il meglio di sé, in un tripudio di simmetrie e colori dal forte impatto suggestivo e visivo. Ottima, però, la prova degli interpreti, capitanati da una Julia Roberts in gran forma e per una volta piacevolmente autoironica, in grado di sollevare le sorti della pellicola impedendole di inoltrarsi nel limbo delle occasioni sprecate.
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