In concorso alla 60. Berlinale “If I Want To Whistle, I Whistle” di Florin Şerban
(Dalla nostra inviata Daria Pomponio)
15/02/10 – Si sente dire spesso che in Europa non abbiamo un’industria che possa rivaleggiare con quella hollywoodiana, e che dunque difficilmente i nostri film possano essere definiti come dei “prodotti”, ma se esiste un film di “genere europeo”, lo si puó trovare nei migliori Festival Internazionali del cinema. Si tratta di quelle opere che narrano storie drammatiche con uno stile rigorosamente neo-neorealista, il protagonista di solito è muto o dice poco più di 3-4 frasi nel corso di tutta la pellicola e, ça va sans dire, il suo è un destino segnato, fin dall’inizio. Inutile aggiungere, che questo “genere” di film pare fatto per sedurre le giurie dei festival e portarsi a casa, dunque, qualche premio.
“If I Want To Whistle, I Whistle”, opera del rumeno Florin Şerban, in Concorso a Berlino 2010, risponde a tutti i requisiti sopra elencati: è un buon prodotto “medio” europeo, confezionato con cura e con il presupposto di commuovere e far pensare lo spettatore più esigente. Il protagonista del film, Silviu, è un giovane detenuto nel riformatorio, pronto per essere rilasciato di lì a pochi giorni. Silviu è un detenuto modello, lavora nei campi e nel frutteto con gli altri, obbedisce alle regole della prigione. Ma tutto cambia quando il ragazzo riceve la visita del fratellino, che lo informa della sua imminente partenza, al seguito della loro madre scapestrata, per l’Italia. Silviu fará di tutto per evitare che il fratello parta, ed è pronto a lottare fino alle estreme conseguenze. Florin Şerban, alla sua prima prova nel lungometraggio, mostra indubbio talento nel ritrarre la quotidianitá della vita in un carcere minorile; tutte le sequenze che riguardano il lavoro dei ragazzi nei campi che circondano la struttura, sospese tra idillio bucolico e scarna documentazione, serbano possedere infatti una convincente verosimiglianza oltre che un indubbio fascino estetico. Ma quando l’azione si sposta in interni, tutto pare funzionare meno bene e quel senso di veritá sfuma gradualmente per rivelare il solito meccanismo del film festivaliero di cui si diceva sopra.
George Pistereanu, il giovane attore che interpreta il ruolo di Silviu, ci offre sempre un’unica espressione facciale (naturalmente assai imbronciata e pensosa) e di certo non viene aiutato da una sceneggiatura che àncora le sue azioni a un pretesto assai poco convincente. Il presupposto che la madre non sia una buona madre non è infatti foraggiato da alcuna prova tangibile, se si eccettua il fatto che Silviu è finito in carcere. Accettare questa motivazione equivale di fatto a negare il libero arbitrio del ragazzo. Ed il gioco è in fondo tutto qui, per starci dobbiamo accettare l’idea che “If I Want To Whistle, I Whistle” replica con rigore le forme e gli strumenti della tragedia greca, e si predispone dunque a indirizzare il protagonista verso il proprio destino, senza che per lui vi sia alcuna possibilitá di scelta e di redenzione. A poco vale la posticcia storia d’amore con la bella volontaria del servizio civile, mero strumento che serve a condurre Silviu verso una scelta senza ritorno e a fornirci poi una scena romantica foriera di labili speranze. Peccato, se il film avesse mantenuto il tono documentaristico e corale che accompagna le prime sequenze, alnzichè concentrarsi poi tutto sull’incolore protagonista, avrebbe raggiunto certo vette più alte. Manca infatti del tutto una contestualizzazione dell’esile storia di Silviu, che non assurge mai a metafora di qualcos’altro (che non sia l’adolescenza ribelle) e poco ci dice della realtá contemporanea rumena a parte il, forse diffuso (era alla base anche di un altro film rumeno recente: “Francesca” di Bobby Paunescu), desiderio di emigrare in Italia.