Prerogativa dello sport movie, ma anche dei film sul gioco d’azzardo, è che di solito lo spettatore viene messo a parte delle “regole” e riesce così ad appassionarsi anche a un argomento che nella vita quotidiana non desterebbe in lui alcun interesse. Basti pensare a quante volte al cinema ci siamo emozionati per uno “strike” o una “meta” o siamo trasaliti all’apparire di una coppia di assi nel corso di un partita di poker. Ma nell’affrontare la realtà emergente delle “arti marziali miste” il regista Gavin O’Connor ha ritenuto che non fosse opportuno illustrarci le dinamiche di questo sport, preferendo costruire il suo film attorno ai conflitti familiari e personali dei protagonisti, argomenti universalmente comprensibili. Warrior racconta infatti la storia di due fratelli divisi dal divorzio dei genitori, dovuto all’alcolismo molesto e presumibilmente violento del pater familias (incarnato da Nick Nolte). Tommy (Tom Hardy), il minore, ha seguito la madre in fuga dal marito e alla di lei morte si è arruolato nei marines, finendo così per sfogare la sua rabbia repressa in Iraq, continuamente indeciso tra eroismo e diserzione. Il maggiore, Brendan (Joel Edgerton), ha preferito invece restare al fianco del padre, per coronare il suo sogno d’amore con la fidanzata Tess (Jennifer Morrison) e diventare un perfetto padre di famiglia e un professore di fisica in un liceo. I “Caino e Abele” della Pennsylvania proletaria hanno però due cose in comune: la passione per le arti marziali e un insopprimibile rancore verso il padre che, dal canto suo, ha smesso di bere e ora brama il perdono della prole. Mossi dal desiderio di riscatto sociale e dal sogno del benessere economico, i fratelli si affronteranno nel contest di arti marziali miste denominato “Sparta”. Tommy ha promesso di devolvere i cinque milioni di dollari in palio alla famiglia di un commilitone morto in Iraq, mentre Brendan riscatterà l’ipoteca sulla propria casa, scongiurando così l’orribile onta che gli deriverebbe dal dover tornare a vivere in un appartamento condominiale.
Conglomerato tutto intorno a un grande sogno americano fatto di onore, famiglia, riscatto e villetta monofamilaire, Warrior snocciola una sceneggiatura costruita con il bilancino, che lascia pendere l’empatia dello spettatore ora verso un personaggio ora verso l’altro, finendo così per costruire il suo climax in maniera eccessivamente meccanica. Poco si riesce a comprendere dello svolgimento degli incontri, raffreddati oltretutto dall’elemento scenografico della gabbia in cui si svolgono, che limita notevolmente le variazioni possibili delle angolazioni di ripresa. Magnifiche sono però le interpetazioni del cast, tra le quali spicca l’astro nascente Tom Hardy, visto in Inception di Nolan e protagonista nell’ottimo Bronson di Nicolas Winding Refn. Perfettamente in parte anche Joel Edgerton che rivela inoltre una straordinaria somiglianza con Hardy. Quanto a Nolte, c’è da dire che interpreta lo stesso ruolo da almeno vent’anni, ma bisogna ammettere che lo fa in maniera eccellente. Scarso invece l’interesse del regista e dunque anche dello spettatore per i personaggi femminili, appena tratteggiati e pieni di cliché. Peccato per le molteplici cadute di stile, come l’agghiacciante utilizzo dell’Inno alla gioia di Beethoven, la ridondanza di un montaggio alternato non sempre necessario (perché staccare due volte sul padre davanti alla Tv e altrettante sulla moglie che sfaccenda a casa nel corso del primo, tesissimo incontro di Brendan?) e l’esornativo split screen; perché in fin dei conti O’Connor ha del talento, deve solo limare la sua retorica.
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