Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI
Brutte figure (italiane) a Venezia, parte seconda. Dalla televisione al cinema, per l’ennesima volta, senza che si riesca a evitare il deperimento della forma durante il passaggio tra i due. Da una decina d’anni La7 ospita uno dei pochi veri programmi televisivi superstiti dedicati al cinema (meglio specificare: uno dei pochi, sulla televisione generalista in chiaro), “La valigia dei sogni”: l’idea alla base – non particolarmente originale – è di recuperare sul piccolo schermo pezzi di cinema, soprattutto italiano, sempre meno frequentati, allegando alla messa in onda del film una piccola guida, un vademecum crono-geografico, una ricognizione nei luoghi dei vari set sull’onda del giochetto “com’era/com’è”. Grazioso, utile, non imbecille. Dagli stessi ideatori del programma – Alessandro Boschi e Alberto Crespi – è nata poi l’idea di concedere alla loro creatura un po’ d’aria e di spazio. Così i due hanno convocato il gruppo responsabile della trasmissione televisiva – il regista Francesco Matera in testa – e hanno trovato i mezzi per produrre un piccolo lungometraggio documentario scritto come calco cinematografico (?) dell’originale televisivo.
Per un’ora e mezza circa Alberto Crespi insieme alla giovane fotografa Angelina Chavez – pleonasmo fatto carne – si spostano per Roma, apparentemente senza un criterio, incontrano registi e professionisti testimoni di alcune delle più celebri avventure di celluloide avvenute sul suolo capitolino, si dividono tra perlustrazioni e interviste, dialoghi memoriali e confronti fotografici. Incredibile pensare che dietro un film come questo ci sia stata una scrittura, ancora più incomprensibile il fatto che ogni grazia del modello originale sia stata spazzata via da un’operazione fin troppo evidentemente raffazzonata, tirata via, girata di fretta, montata con gli occhi chiusi e il cervello altrove. Per un “film” che dimostra di non essere altro che una grossolana accozzaglia d’incontri improvvisati, di frammenti raccolti “al volo”, d’immagini disomogenee per gusto registico e qualità fotografiche.
Alla fine si esce dalla sala con una sola domanda in testa: perché questo inutile scempio quando, per una volta, si poteva recuperare al cinema una buona idea televisiva?