Ascolta le interviste di RADIOCINEMA, a cura di Giovanna Barreca, ai protagonisti del film “Venus Noire”:
(Dalla nostra inviata Giovanna Barreca)
27/09/10 – Abdellatif Kechiche a partire dal suo esordio con Tutta colpa di Voltaire del 2000 (vinse il premio De Laurentiis come miglior opera prima) ci ha emozionati con un cinema mai scontato, con uno sguardo che sposa un’estetica affascinante: quella di chi in una certa maniera perde le proprie radici per uno sradicamento non voluto dalla propria terra d’origine e acquista uno sguardo stereoscopico sulla realtà. Come ci suggerisce il collega Silvio Grasselli, in Venus Noire – presente in concorso alla 67. Mostra del Cinema di Venezia e ingiustamente non preso in considerazione dalla giuria di Tarantino – il corpo della protagonista è oggetto prima dello sguardo, poi dei sensi e alla fine diventa oggetto meccanico da sezionare e da studiare. Saartjie, la “Venere ottentotta”, realmente vissuta in schiavitù in Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, è esibito, guardato dal pubblico parigino e poi londinese con meraviglia, disprezzo, curiosità data da forme così inusuali, per poi diventare oggetto dei sensi, toccato negli zoo umani (terribilmente realisti e in fondo non distanti da tanta mercificazione televisiva odierna).
Alla fine, quando il corpo di Saartjie Barman, ormai senza vita, diventa oggetto di studi, lo sguardo è meccanico, freddo, scientifico. Lo si ‘smonta’ quasi per disinnescarlo, come se fosse un elemento di crisi. Saartjie Barman, che nelle ultime immagini tratte dai telegiornali dell’epoca, nella sua bara lascia l’aeroporto parigino per fare finalmente ritorno in Africa, è l’emblema di un razzismo che purtroppo, come ci raccontano gli ultimi dolorosi fatti di cronaca, è strisciante e vive nelle strade delle città europee. Il film è il nostro personale Leone d’oro o, se volete, coppa Volpi per Yahima Torres.