Amor è un pianeta dove l’acqua cura tutte le ferite, dove è l’amore a salvare. Ma è davvero possibile salvare qualcuno solo con o grazie all’amore? Salvare qualcuno vittima di depressioni, male da sempre definito oscuro che la regista Virginia Eleuteri Serpieri nel suo Amor definisce “come un covo di serpenti che trova dimora nel corpo più sofferente”?
La regista, dopo una laurea in Lettere all’ Università degli Studi La Sapienza e un diploma in tecniche del suono presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dal 2004 con Piccoli naufragi, inizia a realizzare diversi corto e mediometraggi, sperimentando soprattutto il linguaggio e trovando in storie di famiglia molto intime, chiavi di lettura universali. Lo fa con My Sister is a Painter, dove indaga la memoria attraverso l’opera pittorica della sorella Lisa e ora con Amor, il suo primo lungometraggio, presentato Fuori concorso all’80esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il film nel 2019 riceve il prestigioso premio Solinas “Documentare per il cinema” che regala al progetto l’ulteriore volano per continuare soprattutto con le ricerche dei materiali d’archivio perché il film – dal forte coinvolgimento emotivo-, unisce la storia di Teresa, madre di Virginia, vittima di depressione che una notte d’estate si gettò nel Tevere e la storia di Roma e del suo fiume, dell’acqua che è il file rouge dell’opera.
Un film che, come abbiamo chiesto alla regista, lavora sulla ricomposizione di elementi, partendo dai minimi resti delle pitture ritrovate nei tanti scavi che coinvolgono la Capitale sopra e sotto la città così ricca di storia e di memoria, fino al fiume. Dialoga con le immagini cercando di trovare un ordine, dove è difficile trovare un senso a gesti, a situazioni, a stati d’animo. C’è l’idea di mettersi in viaggio in uno spazio che entra in relazione con Teresa, con suo percorso, con la sua sensibilità, delineando un’apertura in una fortezza chiusa com’è quella dell’animo umano.
giovanna barreca