Venezia 67: arriva il film-sorpresa, il cinese The Ditch di Wang Bing, mentre Vincent Gallo divide la proiezione stampa con Promises Written in Water
(Dal nostro inviato Massimiliano Schiavoni)
07/09/10 – In un’edizione veneziana che sta palesando, giorno dopo giorno, un carattere decisamente “understatement”, si conferma su tale linea anche l’ormai tradizionale film-sorpresa. Se per sorpresa intendiamo l’autore che non t’aspetti in concorso, l’ultimo atteso film di un cineasta affermato, o la spiazzante ed eccentrica collocazione al Lido di un “oggetto estraneo” alle logiche dei festival, allora ne siamo lontani. The Ditch di Wang Bing è l’opera prima in fiction di un documentarista cinese, che con la consueta radicalità del cinema orientale racconta di un campo di lavoro-prigione politica disperso nel deserto del Gobi agli inizi degli anni ’60. Nessuna sorpresa, insomma, visto che Venezia si configura da molti anni come uno degli avamposti più solidi e inattaccabili della qualità orientale. Senza un film cinese, ancor meglio se radicato in profondità nella Storia nazionale, non saremmo alla 67. Mostra del cinema di Venezia. Ciò detto, il film di Wang Bing si propone al momento come uno dei più probabili Leoni d’Oro di questa edizione, e con tutti i meriti. Può giocargli a sfavore proprio la “saturazione orientale” del palmarès storico veneziano, ma è pur vero che negli ultimi vent’anni Venezia non ha avuto mai timore di ripetersi nell’assegnazione dei suoi allori. E resta comunque il fatto che The Ditch mostra uno dei progetti filmici più solidi e compatti visti finora in concorso. Come d’uso nella sua tradizione cinematografica nazionale, Bing ricorre a un apparato visivo e narrativo di prim’ordine, a partire dalla scelta delle inquadrature, caratterizzate da un’angosciosa profondità di campo, dall’utilizzo espressivo di una fotografia preziosa ma mai gratuita, per finire con una costruzione narrativa che aderisce saldamente al racconto collettivo. Pur restando fedele a un’idea di cinema di denuncia storico-civile, Bing si tiene lontanissimo da qualsiasi approccio didascalico. Il rigore del tratto è la risorsa migliore verso il cinema “sovrascritto” che spesso troviamo in Europamerica.
Molto apprezzato per la prova attoriale in Essential Killing di Skolimowski, che gli ha cucito addosso un ruolo da probabile Coppa Volpi, Vincent Gallo divide invece la stampa in veste di autore, in concorso con Promises Written In Water. Fischi furiosi si sono mischiati ad applausi convinti. Molti, anche, se ne sono andati senza battere ciglio. Personalmente mi accodo a questi ultimi. Davanti a un film che non si esprime, non possiamo noi stessi esprimerci. Lunghissimi silenzi, dialoghi catatonici ripetuti fino allo spasimo, cadaveri e pompe funebri. Antonioni che incontra Cassavetes che utilizza il bianco-e-nero alla Woody Allen che flirta con l’underground che evoca video-arte che confluisce nell’ego debordante di Vincent Gallo. Se di pura provocazione si tratta, è fuori tempo massimo. Se invece l’intento è di ricerca avanguardistica da video-arte, in La paura Pippo Delbono ha fatto molto meglio con il solo supporto di un cellulare. Peccato, perché per Vincent Gallo non possiamo esimerci dal provare stima e simpatia.