Venezia, 7° giorno

08/09/10 - Con buona pace di quanti (e non erano pochi) lo hanno fischiato, "Promises Written In...

Diario da Venezia – giorno 7

(Dalla nostra inviata Daria Pomponio)

08/09/10 – Con buona pace di quanti (e non erano pochi) lo hanno fischiato, Promises Written In Water di Vincent Gallo ci è parso un film sentito e toccante, oltre che la conferma di un artista orgogliosamente autarchico. Autore delle musiche, della sceneggiatura, interprete principale e regista del film, Vincent Gallo è forse l’ultimo esemplare di un cinema indipendente americano che non cerca il plauso degli amanti dei film “Sundance”. Se infatti possiamo dire che le pellicole presentate nel Festival di Redford sembrano cercare i favori di un pubblico sempre più vasto e destare così l’attenzione delle Major, non possiamo certo sostenere lo stesso per Promises Written In Water, opera radicale e teorica, pur nella sua esplicita naiveté. Come preannuncia la pagina bianca del catalogo della 67. Mostra del Cinema di Venezia, Promises Written In Water è un film senza trama dalla fotografia sgranata e in bianco e nero, con pochissimi interpreti e ancora meno location. Tutte queste privazioni sono del tutto funzionali alla purezza d’animo con cui il regista ci espone le sue idee, per immagini, sulla morte e sulla bellezza. Come avveniva nei dipinti barocchi definiti “Vanitas” (e di vanità, non a caso si parla a lungo nel film), Promises Written In Water mette fianco a fianco il temporale e il transeunte, l’effimero e il memento mori, la bellezza e la sua invisibile, ma inesorabile necrosi. Labile, evanescente nella scrittura, il film di Gallo mostra orgogliosamente il fianco, la sua pelle, la superficie, e non aspetta altro che i suoi detrattori.

Ma la giornata odierna è stata anche quella dell’atteso film a sorpresa, che sorpresa poi non era, dato che è stato inserito nel catalogo della Mostra in vendita qui al Lido sin dal primo giorno della kermesse. Stiamo parlando di The Ditch (Il fossato) di Wang Bing resoconto della vita quotidiana in un campo di rieducazione maoista nel deserto dei Gobi. Produzione completamente francese (e non c’è da stupirsi, il regime cinese non gli attribuirà certo il suo plauso), The Ditch (Il fossato) procede con piglio documentaristico, riservandosi per gli ultimi venti minuti una svolta sia narrativa (l’arrivo della moglie di uno dei reclusi) che stilistica (uno splendido movimento di macchina in continuità che segue l’uscita della donna dal “fosso”, e il suo ingresso nel deserto). Film necessario, durissimo nel mostrare l’aspra quotidianità dei reclusi, una “sorpresa” difficile da dimenticare.

Cambiamo del tutto genere per annunciarvi che l’operazione “Vallanzasca” non è propriamente riuscita. I problemi di Vallanzasca – Gli angeli del male, presentato ieri in Concorso, sono fondamentalmente due: le scene d’azione sgraziate e tirate via e una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Si salva l’ottima interpretazione di Kim Rossi Stuart, che riesce agilmente a calarsi nel personaggio e a ricalcarne il dialetto milanese. Ma la storia non prevede particolari evoluzioni, così come il suo protagonista: dall’inizio alla fine del film Vallanzasca è un’icona, un mito gettato in pasto alle fans di allora e al pubblico di oggi, un po’ tracotante un po’ giullare dei media. Condisce il tutto uno stile videoclipparo ammiccante e di un cast stellare non sempre in parte (troppo sopra le righe l’interpretazione del solitamente convincente Filippo Timi). Per quel che riguarda le scene d’azione, invochiamo il ritorno di quelli che un tempo venivano appellati come “mestieranti del cinema”, ovvero quei registi del nostrano poliziottesco, che a quanto pare ancora non sufficientemente sdoganati (o almeno Placido non ne ha tratto alcun insegnamento), con buona pace di Tarantino. Il regista-attore, infatti, sia negli inseguimenti che nelle scene delle rapine, agita la macchina da presa, inquadra i volti tesi in primissimo piano, alza la musica e le grida, aumenta esponenzialmente i dettagli, poi chiude tutto con una panoramica a schiaffo. Ecco fatto. Sì ma, come è terminato l’inseguimento? Possibile che la rapina sia andata male perché uno della banda ha mollato il fucile? Tacciamo sulla querelle che riguarda la “beatificazione” del bandito, ne leggerete meglio e a lungo sui principali quotidiani. Vi anticipiamo soltanto che gli autori dello script sono Placido e Rossi Stuart e non ci vuole molto a capire che mostrare senza veli le efferatezze del criminale avrebbe allontanato il pubblico dal film. Attendiamo il risultato, abbastanza scontato, del box office, per capire se i due avevano ragione.

Chiudiamo il reportage odierno presentandovi brevemente Svinalangorna (Beyond) dell’attrice e regista svedese Pernilla August. Solito crudele dramma familiare nordico, il film della August, presentato nella Settimana della Critica, è di pregiata fattura e mescola sapientemente tutti quei sentimenti contrastanti che agitano i nuclei familiari (magari in misura più moderata): amore, rancore, autodistruzione. La storia è già di per sé un cliché: la figlia, seppur riluttante, si presenta al capezzale della madre morente, dopo anni di silenzio tra le due. La novità più succosa è l’interprete principale: la Noomi Rapace della trilogia Millennium, qui alle prese con un melò senza scampo.