Speciale Venezia 65
(dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
30/08/08 – Il Concorso di Venezia 65 continua a veleggiare sui lidi della mediocrità . The Burning Plain, esordio al lungometraggio di Guillermo Arriaga, sceneggiatore di Inarritu e del capolavoro Le tre sepolture, è una stantia riproposizione dei meccanismi narrativi che hanno fatto la sua fortuna: storie parallele che arrivano ad incrociarsi, rimescolio di passato e presente, drammi e colpe ataviche da scontare prima o poi, anti-linearità perseguita in maniera persino ossessiva, ecc. Ciò che non va, oltre ad un sapore di già visto, non è tanto la regia e neppure la sceneggiatura, quanto il soggetto stesso del film, abbastanza risibile. Vien da pensare che questo straordinario “guionista”, se non ha una storia solida su cui reggersi, finisce per fallire completamente, pur riuscendo a tenere nascosta la dèbà¢cle per una buona metà della pellicola, grazie agli arzigogoli per cui giustamente è diventato famoso (il rovescio più eclatante in tal senso, anche più di The Burning Plain, resta 21 Grams). Molte meno parole da spendere ne merita l`altro film in Concorso di ieri, Plastic City di Yu Lik-wai, confusissima storia di cinesi trapiantati in Brasile, dediti a loschi traffici. Direttore della fotografia di Jia Zhang-ke, Yu, qui passato alla regia, mostra di avere occhio nel riprendere alcuni totali di San Paolo, ma poi non sa governare a dovere storia e personaggi, che restano vaghi e contraddittori.
Tant`è…come spesso capita, si è più fortunati a pescare in altre sezioni, per esempio in Orizzonti, dove splende un ottimo film, Z32 dell`israeliano Avi Mograbi. Tratto tipico della cultura ebraica è la capacità di autocritica, la tendenza a vedere con lucidità e con ironia i difetti del proprio popolo. Mograbi possiede questa virtù e la utilizza per mostrarci, a partire da una piccola quanto orribile storia di omicidio-rappresaglia, un Paese che per combattere il terrorismo è diventato terrorista esso stesso. Purtroppo il pregio di scavare a fondo nell`Io collettivo del proprio paese non è nelle corde dell`uomo italico, meno che mai negli ultimi tempi. E lo dimostra Venezia ’68, uno pseudo-documentario di Antonello Sarno, realizzato con la collaborazione di Stefano Della Casa, operazione che non bisogna esitare a definire indecente. Con questo suo, Sarno vorrebbe convincerci che il ’68 a Venezia fu una patetica sciocchezzuola messa su da registi che non avevamo di meglio da fare. Ma una volta venuti a conoscenza dell`assunto, ci sarebbe piaciuto che si fosse indagato in sede di riprese per cercarne la conferma e/o che si fosse cercato di dimostrare il suddetto postulato. Non è successo. Sarno si limita ad affermare: è andata così, fidatevi.
Si sono cercati perciò quei registi ben disponibili a prendersi in giro (Gregoretti in primis), a dirsi pentiti, a dire che non sanno più per cosa stessero protestando (Venezia aveva uno statuto che risaliva al fascismo, e il Lido era un luogo per pochi eletti; basta questo?), a dire persino che Venezia ha iniziato il suo declino per colpa di quella protesta, a dire che Maselli è sempre stato un bugiardo, a dire che Pasolini teneva il piede in due staffe (perchè c`era Teorema in Concorso), ecc. Poi non si capisce per quale motivo il gesto di Truffaut, che con un rasoio taglia lo schermo a Cannes per certificare l`interruzione del festival, debba essere considerata un`azione eroica, mentre invece a Venezia Maselli che viene portato a braccia dalla polizia è descritto come un Pulcinella. Insomma, perchè secondo Sarno la protesta va bene se la fanno i francesi, mentre è ridicola se la fanno gli italiani? Citiamo spesso Maselli perchè non appare nessuna sua intervista (il che ci pare grave visto che viene citato da altri) e perchè finora è stato l`unico a protestare per questa spocchiosa rievocazione. Ma soprattutto perchè in Venezia ’68 viene citato il finale del suo Lettera aperta ad un giornale della sera, quel finale in cui si vedono i protagonisti che, invece di fare lotta rivoluzionaria, son tanto felici di prendere a calci una lattina. Ora, paragonando la piccolezza morale di quei personaggi a quella dei protagonisti del ’68 veneziano, pare addirittura mancare del tatto, visto che in prima fila a protestare c`erano Pasolini, Ferreri, Zavattini, ecc.
Resta poco spazio purtroppo per Encarnaçao do Demonio del regista brasiliano Josè Mojica Marins, interprete da anni del misterioso e satanico Zè do Caixà£o, filosofo folle della persistenza materica del sangue. Film dalla violenza inusitata e iconoclasta (ci sono persino squartamenti “zombeschi” sul Golgota), Encarnaçao do Demonio sfoggia un gore che non si vedeva da anni. Una catarsi che ci voleva per sbollire la rabbia verso i posticci e semplicistici revisionismi sul Sessantotto di Sarno/Della Casa.