Diari da Venezia – giorno 5
(Dalla nostra inviata Daria Pomponio)
06/09/10 – Un vento di passioni si è abbattuto sul Lido veneziano e il riferimento non è solo metereologico (il clima in questi giorni è davvero inclemente), ma, naturalmente, è soprattutto cinematografico. Non aspettatevi però film scandalo dalle bollenti sequenze erotiche, il genere di passioni di cui vogliamo parlarvi è di tutt’altro stampo.
Cominciamo dal Concorso, per presentarvi brevemente il nuovo film di Carlo Mazzacurati che porta il titolo di La passione, appunto. Si tratta di una commedia irriverente e spassosa dove Silvio Orlando, nei panni di un regista in crisi creativa, si trova costretto, da una serie di sfortunati eventi, ad inscenare una sacra rappresentazione pasquale. Il film è dunque in principio assai brillante e pieno di sapide trovate, ma verso la fine vira bruscamente nel patetico, forse perché oramai è chiaro a tutti che Silvio Orlando ha il talento che serve sia per farci ridere che per commuoverci. Sempre restando in tema di forme di rappresentazione popolari, John Turturro ci offre con il suo Passione (senza articolo questa volta), selezionato nella sezione Fuori Concorso, il suo punto di vista sulla canzone napoletana, di ieri e di oggi. Come un novello Virgilio, l’attore-regista statunitense compare inizialmente sullo schermo per introdurci la città di Napoli e i suoi contrasti, ma il risultato, più che dantesco, ci pare un po’ alla Piero-Alberto Angela. Quel che segue però non può lasciare indifferenti, preparatevi a battere il tempo e ondeggiare, state per essere trascinati da ritmi forsennati, romantiche ballate, parole d’amore e d’odio che fanno tremare i polsi. Turturro rispolvera la sua abilità di metteur en scene di musical, già ampiamente sfoderata in Romance and Cigarettes, per inanellare, in diversi narrativi, i brani migliori della tradizione napoletana; da Malafemmina (inscenata e cantata dalla strepitosa accoppiata Massimo Ranieri e Lina Sastri) a Tammurriata nera, da Maruzzella a Nun te scurdà. Ci ha convinto poco magari l’episodio con Beppe Barra che interpreta la Don Raffaè di De Andrè, ma non per via della performance, peraltro impeccabile, del cantante-attore, bensì per la scelta, alquanto banale, di raffigurare il secondino come una sorta di mimo nevrotico e superindaffarato, sempre pronto a recapitare a sua eminenza la quotidiana dose di caffeina. Molti sono di contro i momenti in cui Turturro pare aver colto perfettamente lo spirito partenopeo: aggressivo, rassegnato, autoironico e talvolta anche profondamente cupo. La presentazione iniziale un po’ ingessata dell’incipit si trasforma poi in una messa in gioco più esplicita dell’autore, che troviamo in scena accanto a Fiorello, mentre si dimena sulle note di Caravan petrol. Forse qualche purista storcerà il naso, ma quando il gusto kitsch è esibito, nonché parte integrante della realtà che si intende descrivere, è inutile esprimere giudizi di merito troppo severi, molto meglio godersi lo spettacolo. L’intrattenimento in Passione si accompagna poi ad un sano e schietto intento didattico, che non fa mai male, armatevi di carta e penna, perché magari alcuni degli artisti non li avevate mai sentiti nominare, ma stanno per sorprendere le vostre orecchie (il film sarà distribuito in sala dall’Istituto Luce).
Ci lasciamo ora le “passioni” alle spalle per parlarvi di due film assai differenti ma che hanno due cose in comune: un ritmo rarefatto ma perfettamente funzionale al racconto e due registe che sanno affidarsi alla forza visiva delle immagini senza sentire il bisogno di aggiungere altre spiegazioni (leggasi: verbosità inutili). Meek’s Cutoff di Kelly Reichardt, presentato oggi in Concorso, è un western abbacinante e rarefatto, una sorprendente rielaborazione del genere classico hollywoodiano personale quanto innovativa. Lo stile è essenziale e si priva, almeno apparentemente di ogni orpello. La fotografia elimina dall’immagine ogni scoria ridondante e trasforma il paesaggio e i personaggi in una sorta di disegno grafico scarnificato. La regista, dal canto suo, sfronda all’osso il suo racconto, dedicandosi ad un pedinamento “neorealistico” dei pionieri che solo a tratti si condisce di qualche gioco di potere tra i personaggi. La Reichardt brucia il manuale di sceneggiatura con tutte le sue vacue scansioni temporali, per mettere in scena la dura vita del pioniere, l’ansia ipercinetica che lo muove e soprattutto le sue necessità fisiologiche più basiche, come la fame e la sete. Le “star” Paul Dano e Michelle Williams ci vengono nemmeno presentate, i primi piani dei personaggi, infatti, fanno capolino dopo un po’ e le loro caratteristiche emergono esclusivamente dalle azioni. La visione è sconsigliata ad un pubblico astioso nei confronti di ritmi lenti e scarsezza di dialoghi (il film sarà distribuito in Italia dalla Archibald). Per tutti gli altri sarà una vera sorpresa apprendere che il genere western ha ancora molto da dirci.
La sorpresa di questa quinta giornata festivaliera è stato poi Noir Océan di Marion Hänsel (presente nella sezione Orizzonti), racconto di un percorso di formazione che ha l’amaro sentore di una regressione. Con stile quasi documentaristico la regista segue la quotidianità di alcuni giovani arruolati nella flotta francese per una missione Top Secret. La destinazione è l’atollo di Mururoa e il perché forse l’avete già intuito. Gli ultimi venti minuti del film, invece, non ve li potete immaginare, dovreste vederli. Non possiamo far altro che invocare, per Noir Océan, una degna distribuzione sul nostro suolo patrio. Delude invece il primo film in 3D presentato a Venezia quest’anno: Tungngaan (3D) (The Child’s Eye) dei fratelli Pang. Di tridimensionale a dire il vero c’è ben poco, giusto un paio di mani che tentano d ghermire lo spettatore. La storia invece trae inizio dalle recenti rivolte avvenute in Tailandia, ma scorda presto il suo gravoso presupposto per presentarci un mostro cattivo dalle fattezze di un bambino-canide col pannolino. Insomma, se stavolta il film non raggiungerà le sale italiane, forse qualche buona ragione c’è.