Diario da Venezia – giorno 3
(Dalla nostra inviata Daria Pomponio)
“Padre, mi perdoni, ho molto peccato”
“dimmi figliolo, qual’è il tuo peccato?”
“I film sono il mio peccato”
Dennis Hopper in “The Last Movie”
04/09/10 – La 67. Mostra del Cinema di Venezia non poteva organizzare un omaggio più appropriato a Dennis Hopper della proiezione del suo The Last Movie. Summa teorica di un’esistenza spesa bene (benché all’epoca Hopper avesse soltanto 35 anni), The Last Movie è un post-western, un film politico, una storia d’amore e cupidigia, ma soprattutto un film sul cinema. Il cinema come veleno che corrompe, che logora e infine che uccide. Da anni il film di Hopper è un cult visionabile solo nei migliori festival (qualche anno fa era stato proiettato al Festival di Torino), ma ne auspichiamo una solerte uscita in DVD. Di sicuro storceranno il naso coloro che amano trovare, in un film, un racconto lineare e classico, ma per tutti gli altri il piacere è garantito: non resta che abbandonarsi alla travolgente malìa delle immagini e accendere le sinapsi per cogliere una serie di riflessioni sull’immagine, la realtà e la finzione degne di un’opera saggistica. The Last Movie è inoltre la reliquia di un’epoca (gli anni 70) in cui la crisi dell’industria hollywoodiana aveva generato, anziché una sclerotizzazione narrativa e/o stilistica (come accade oggi), lo spazio per un’estrema liberà espressiva, cosa che ha consentito gli esordi (e i capolavori) di una generazione di cineasti dall’innegabile talento, pensiamo a nomi come Scorsese, Coppola, Spielberg, Cimino. La crisi dell’industria c’è anche oggi, ma a quanto pare la congiuntura storico-economica non è foriera di libertà creative.
Ma a Venezia ieri si è parlato anche molto d’amore. “Il quadrilatero no” canterebbe un Renato Zero in tutina attillata e invece ( e purtroppo, aggiungiamo) a Venezia il ménage à quatre c’è e si è manifestato con Happy Few di Antony Cordier. Futile romanzo d’appendice con la solita borghesia parigina annoiata e in cerca di nuove avventure,Happy Few va giù come un bicchiere d’acqua fresca e non lascia proprio alcuna scoria. Insomma, storie di amori e tradimenti povere di sodio, che avremmo visto forse più volentieri in Tv. Di tutt’altro tipo d’amore ci parla invece il redivivo Antonio Capuano, che non faceva parlare di sé dai tempi dell’ottimo La guerra di Mario (film del 2005), sebbene abbia realizzato, nel frattempo, anche un thriller dal titolo Giallo?, che ci incuriosisce non poco. In L’amore buio quattro scugnizzi annoiati violentano Irene, una ragazza della Napoli bene. Ciro, pentito per ciò che ha fatto, denuncia i compagni del “branco” e, una volta in carcere, cerca di contattare la vittima. Storia dunque di due differenti prigioni: quella reale in cui si trova Ciro e quella intima e dolorosa di Irene. Lo stile del film oscilla tra un’estetica pop (eccezionale l’incipit in spiaggia), momenti più esplicitamente visionari e altri di scarno realismo. Proprio nei momenti di “presa diretta sul reale” ci pare che il film si ripieghi su se stesso, sposando un’estetica troppo fredda e poco originale, che non si addice al Capuano migliore. Due scene meritano però di essere citate: quella in cui Ciro recita in pubblico un dittico poetico da lui composto dal titolo di “poesia di amore” e “poesia di scopare” e poi quel viaggio urbano intrapreso da Irene, alla ricerca di una riconciliazione con la propria città, prima che con se stessa.
Chiudiamo il nostro diario con una storia d’amore filiare soffice e delicata: Somewhere di Sofia Coppola. Film indie in tutto e per tutto, dalla fotografia pastellata al ritmo rarefatto, alle musiche, Somewhere rappresenta forse, a tutt’oggi, l’opera meno convincente della Coppola. Simile, ma inferiore, sia per trovate narrative che per le performance attoriali, a Lost in Translation, Somewhere racconta l’esistenza di un attore hollywoodiano non proprio di primo piano (interpretato da Stephen Dorff). Johnny Marco, questo il nome del protagonista, ha un’esistenza fatta di provini, tour promozionali, parties, lunghi stazionamenti in sala trucco e brevi soste nei letti di varie donne. Quando nella sua vita irrompe Cleo (Elle Fanning), il personaggio non cambia molto, diventa solo un po’ più allegro e giocherellone. Per quel che riguarda la scena in cui il protagonista ritira un telegatto, con corredo di Valeria Marini paiettata e sculettante, anticipiamo che ha fatto ridere a crepapelle soltanto gli stranieri, per noi, invece, è di un realismo estremo e purtroppo non c’è proprio niente da ridere. Ma sebbene Somewhere ci paia un po’ troppo esile e a tratti di maniera, siamo pronti a scommettere che incanterà un pubblico assai vasto, d’altronde pare fatto apposta per questo.