La paura più ancestrale e tangibile dell’essere umano è il buio, o meglio quello che c’è nascosto dentro. Presentato all’ultima edizione del Festival di Torino, Vanishing on 7th Street è, almeno sulla carta, l’ennesimo thriller post-apocalittico con venature horror. Si salva, però, dal triste destino della banale paccottiglia trita e ritrita del suo genere grazie alla mano registica del buon Brad Anderson. La trama è semplice: un inspiegabile blackout colpisce la città di Detroit e fa scomparire la maggior parte degli abitanti. Solo pochissimi sopravvivono mentre gli altri vengono spariscono nelle tenebre.
Anderson, prolifico regista di genere sia al cinema che in televisione si dimostra molto abile nell’uso della macchina da presa concentrandosi nel rapporto fra dimensione etica ed estetica. Il suo occhio, infatti, è attento sia nella costruzione psicologia dei personaggi che nel linguaggio visivo, in particolare nell’uso della fotografia, che ovviamente in una pellicola di questa tematica ha una funzione primaria. Costruisce un buon ritmo narrativo nella prima parte, che però viene perso piano piano a causa di una sceneggiatura che non riesce a esplicitare del tutto il suo approccio intellettuale e filosofico, tanto da incentrarsi su parametri del tutti inferiori agli standard di lavori precedenti dell’autore de L’uomo senza sonno, Session 9 e Transsiberian. Alla fine resta una pellicola interessante a tratti, ma di sciatta struttura narrativa che si perde nei soliti cliché del genere, con l’aggravante di una ridondanza fastidiosa nelle scene risolutive. L’idea originale della scomparsa di individui inghiottiti dal buio come metafora di una società che si basa sull’apparenza e sulla conseguente paura del fallimento e della nullità, ossia la consapevolezza dell’essere umano di non valere nulla – e quindi essere invisibile – possiede alcuni guizzi molto brillanti ma a singhiozzi; tutto quello che vi è di positivo è merito della grande conoscenza e competenza filmica di Anderson, che si avvale anche di un gioco antinomico metalinguistico molto azzeccato, ovvero la citazione di Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, pellicola francese molto popolare (nonché meravigliosa) degli anni Sessanta – con una giovanissima e bellissima Catherine Deneuve – che sprizza colori e musica in ogni suo fotogramma. Quello era un piccolo capolavoro compatto e vigoroso nel ritmo e nell’estetica. Vanishing on the 7th Street, invece, è come un politico in tempo di elezioni: promette, ma non realizza il suo programma.
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