Una separazione

13/10/11 - Dopo About Elly e il trionfo a Berlino, Asghar Farhadi arriva in sala con un dramma enciclopedico sul presente dell'Iran.

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  • Asghar Farhadi e Babak Karimi
  • Dopo aver trionfato alla scorsa edizione della Berlinale, e dopo l’ottima uscita in Francia, il nuovo film di Asghar Farhadi arriva – ovviamente doppiato – anche in Italia. Una separazione – anche scritto e prodotto dal regista iraniano già noto per aver diretto About Elly, altro successo internazionale costruito da Berlino – è un dramma senza tragedie ispirato al realismo tipico del cinema iraniano delle ultime stagioni. Da un dissidio tra coniugi parzialmente fittizio (lei vuole lasciare il paese, ma lui non può seguirla perché impegnato ad accudire il padre ammalato), un fatto apparentemente trascurabile, deriva infatti una serie di conseguenze a catena destinate a lasciar segni nelle vite di tutte le persone coinvolte. “Simin e Nader, una separazione”, era più o meno questo il titolo in lingua originale, che ben indicava come, nonostante le molte peripezie e la ricca galleria di personaggi, è in fondo intorno alla relazione dei due protagonisti che si fonda il racconto.

    Farhadi scrive e dirige con grande intelligenza e lucidità una piccola enciclopedia antropologica e sociologica del presente iraniano. Lanciandosi in un affondo nell’animo umano, il film mostra uomini incapaci di esprimere compiutamente la propria sfera emotiva, e soprattutto sempre grottescamente divisi tra la rappresentazione di sé come maschi forti e inflessibili e la materiale incapacità di assumersi la responsabilità di una scelta. Sono invece le donne a garantire che il mondo non crolli a causa dell’ottusa rigidità degli uomini, grazie a una incessante pratica di misericordia. Neppure i vecchi e i bambini sono lasciati fuori da questo caleidoscopico dramma minimalista: se sono gli anziani a costituire problemi e a fornire soluzioni, i bambini hanno invece un ruolo di testimoni, portatori – anche quando mentono – di verità. Con raffinata perizia psicologica, ma senza alcuno psicologismo, Farhadi scrive e dirige una pellicola che corre tutta sulla superficie dei volti e delle mani; un film complesso e consapevole, capace di fondarsi sulle immagini, ma senza rinunciare alla forza della parola, di raccontare un intrico di sofferenze, d’incomprensioni e di violenze, restando sempre miracolosamente in equilibrio sul filo di uno stile asciutto ed essenziale.

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    SILVIO GRASSELLI