13/07/2007 – Federico Moccia debutta alla regia. Ebbene si, sarà lui a dirigere l`adattamento del suo ultimo best-seller Scusa se ti chiamo amore, che avrà come protagonista maschile Raul Bova.
Francia, Ottobre 1952. Il giovane critico Michel Dordsay, sui Cahiers du Cinèma inveisce contro il cosiddetto cinèma de papa, quello cioè, di Jacque, Delannoy, Becker, fatto di film di qualità , puliti, corretti, eleganti, inutili.
Due anni dopo, nel 1954, con un articolo-saggio intitolato Une certaine tendance du cinèma franàçais, sarà Francois Truffaut a rincarare la dose scagliandosi, sempre dalle pagine dei Cahiers, contro gli sceneggiatori più in voga del momento: Jean Aurenche e Pierre Bost, specializzati in precise quanto pedisseque trasposizioni da opere letterarie.
Verso la fine del decennio, non soddisfatti di esprimere solo sulla carta il proprio dissenso verso quella certa tendenza, Truffaut e gli altri giovani turchi dei Cahiers (Godard, Rivette, Chabrol, ecc), decidono di reagire attivamente e passare dietro la macchina da presa per proporre, e produrre, la loro visione alternativa del fare cinema. Nascerà così la cosiddetta Nouvelle Vague.
Ci si chiederà : ma cosa c`entra Moccia con tutto ciò?
Effettivamente il cinema francese degli anni 50 aveva ben poco in comune con quello italiano di oggi, così come diverso era il ruolo e soprattutto il peso della critica sul sistema e sul mercato, ma è attraverso qualche riflessione di ordine genealogico, che si può trovare un interessante punto di contatto. Federico Moccia, figlio di Giuseppe, in arte Pipolo, prolifico sceneggiatore di film di discutibile qualità come Il ragazzo di campagna, Abbronzatissimi, è insomma, quello che si definisce un figlio d`arte. Ed è in buona compagnia: da Saverio Costanzo a Ricky e Maria Sole Tognazzi; Federica Martino; Ilaria Cirino Pomicino (niente meno); Silvio Muccino e perfino Martina Veltroni (figlia del cantore della meritocrazia Walter). Questo solo per restare nell`ambito della regia (dove peraltro l`elenco potrebbe continuare a lungo), ma anche scorrendo i nomi di attori, produttori e seppur in misura minore, maestranze, sembra che in Italia l`arte del cinema si trasmetta, un pò come la calvizie, per via ereditaria.
Ed eccolo il legame con la Francia del dopoguerra: anche noi abbiamo, seppur da intendersi in una diversa accezione, il nostro cinema di papà. Purtroppo però mancano le premesse per una rivoluzione come quella degli anni 60, e i potenziali sovvertitori di questo squallido status quo (che ahinoi non riguarda solo il cinema), ovvero tutti quei registi, sceneggiatori, attori, ecc, dotati di talento e buona volontà ma privi di genitore illustre, sono costretti a vivere la frustrazione delle porte chiuse in faccia a priori. Ci si lamenta che il nostro cinema va male, che si producono pochi film e gli incassi non sono esaltanti. Il cinema è un’arte e allo stesso tempo un mestiere, che richiede pertanto non solo talento ma anche competenze tecniche, culturali, organizzative, e finchè i criteri di reclutamento resteranno così, meramente nominativi, dovremmo accontentarci dei Moccia che ci meritiamo.
(Caterina Gangemi)