Dal nostro inviato EMANUELE RAUCO
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Il best-seller di Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile, scritto nel 2007 e molto amato dai lettori, è una base perfetta per un film indipendente americano, col suo carico di personaggi strambi, bizzarri, folli e scorbutici ma in fondo amabili: se ne prende carico, alla ricerca di un nuovo giovane Holden, Roberto Faenza, in trasferta americana per una co-produzione che però lascia molto freddi. Il film racconta le vicende di James, un ragazzino solitario e fin troppo sensibile, che dopo un problema scolastico comincia a seguire una life coach, nella speranza di comprendere qual è il proprio posto nel mondo. Faenza adatta il romanzo con Dahlia Heyman e ne tira fuori una commedia di caratteri dalle venature drammatiche, che racconta le differenze generazionali e la ricerca dell’identità.
Raccontato, come il libro, in prima persona, il film segue il percorso del protagonista attraverso i suoi limiti e i suoi difetti, alla ricerca di una tecnica per resistere alle bruttezze del mondo e alle eredità distorte delle nostre famiglie, passando attraverso il rifiuto dei baluardi culturali (James preferisce l’artigianato al college): non a caso, più che ai genitori liberal, il protagonista è legato alla nonna, simbolo di un passato da riscoprire. Operazione puramente mid-cult, che cerca di vendere al pubblico di massa un prodotto apparentemente colto, fatto di ironia ruffiana, canzoncine e simpatia, lacrimuccia e sorriso, personaggi buffi e sentimenti camuffati, Un giorno questo dolore ti sarà utile ammanta le sue idee conservatrici di una parvenza di progressismo. Ma al di là del discutibile valore del progetto, è la resa cinematografica che non convince: la sceneggiatura fatica a comunicare, a non far apparire i personaggi freddi, antipatici o forzati e la progressione dell’intreccio è talmente meccanica e programmatica da apparire telefonatissima. Per rendere appassionante un film fatto di dialoghi e psicologie, non bastano gli attori, non è sufficiente una bravissima Marcia Gay Harden, un’adorabile Ellen Burstyn o una splendida Deborah Ann Woll: ma serve lo stile. Ma forse Faenza non ne ha a sufficienza, o semplicemente non riesce ad utilizzarlo per amalgamare al meglio tutti i suoi ottimi ingredienti.
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