Duro cinema indie che racconta la realtà e riscopre le sue origini. Vero e sincero
08/02/11 – Un doloroso grido di cinema indipendente e di realtà si mescola in Winter’s Bone, opera seconda dell’interessante filmaker Debra Granik che, come nel suo precedente Down to the Bone (inedito in Italia), racconta di uno straordinario personaggio femminile. E già dal titolo di entrambi i film si evince la profonda e lacerante “fisicità” della poetica della regista, che permea dentro i corpi, sotto il peso di ossa maciullate da una vita grama e gretta fatta di spaccio di anfetamine e uso improprio di armi.
La nostra protagonista, l’adolescente Ree Dolly, è alle soglie della vita, ma ha già pagato amaramente il prezzo di una maturità prematura occupandosi di una madre catatonica e dei due fratelli minori, e ora è alla ricerca di un padre spacciatore latitante nel mezzo di una natura accidentata, quella delle montagne Ozark, nella parte meridionale più povera e impervia del Missouri. Lì, come quelle montagne, la vita è dura e dolorosa, il destino si prende tutto, anche quello che non ha mai concesso.
La pellicola, basata sull’asciutto e ottimo romanzo di Daniel Woodrell, racconta uno spaccato sociale di anomalo realismo – per il cinema degli ultimi anni – dove a dominare è un mondo fatto di codici morali non scritti e ruoli invalicabili. Il film si riappropria della struttura cinematografica degli albori del cinema indie – alla cui base c’è l’intento di raccontare la società al passo con il mondo reale – riscoprendo così un valore artistico e uno stile filmico di genere che negli ultimi anni era scivolato verso una patina sempre più hollywoodiana. Merito anche dell’uso della tecnica della macchina da presa digitale RED, che concede al film un’impronta naturalistica fotografando con luce fredda una terra selvaggia e primitiva, ruvida e sporca. Le rocce e i fiumi di quelle montagne sono accidentati, pericolosi, poco affascinanti. Si ritrovano in essi la crudezza e la violenza, dettata dalla fame e dalla povertà, degli uomini e delle donne che le popolano, con odio e incomprensione, invisibili e dimenticati nel mondo del terzo millennio. Un gelido inverno non dimentica di far riscoprire al cinema le qualità intrinseche di un personaggio femminile vigoroso, tipologia che negli ultimi anni scarseggia a vantaggio di figure di donne che avallano cliché machisti di dubbio valore. Granik confeziona invece un’opera bellissima e sincera; si affida ai dettagli della scrittura, alla trasparenza di immagini ricche di crudele sensibilità attraverso una regia che insegue la verità, interpreti – che si mescolano tra non professionisti scelti sul posto per i ruoli secondari e professionisti tra i principali – che ricercano la verosimiglianza, a cominciare dalla giovanissima Jennifer Lawrence, che ritrova accenti, comportamenti, linguaggi di quella terra desolata. Un’opera capace di mettere in luce l’orgoglio e la dignità di questa giovane donna, di ricostruire la povertà più nera nel cuore dell’America e rivelare una voglia d’indipendenza dentro e fuori lo schermo.
L’altra faccia degli States contemporanei nell’anno di The Social Network, con cui si scontrerà nella notte degli Oscar. E probabilmente perderà, pur restando il vincitore morale.
ERMINIO FISCHETTI
Titolo originale: Winter’s Bone
Produzione: USA 2010
Regia: Debra Granik
Cast: Jennifer Lawrence, John Hawkes, Lauren Sweetser, Kevin Breznahan, Isaiah Stone
Genere: drammatico
Durata: 100′
Distribuzione: Bolero Film
Data di uscita: 18 febbraio 2011
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