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In un futuro in cui nemmeno gli ex-immigrati clandestini ricorderanno più il nome di Sarkozy, quello che rimarrà non saranno i politici altisonanti, le parole d’ordine demagogiche o le fobie collettive. Saranno invece i ricordi di una generazione che ha vissuto l’isteria collettiva della Fortezza Europa dal “basso” del suo metro e qualcosa di altezza, dove l’integrazione non è un vessillo sventolato a difesa di una presunta identità ma un gioco onesto e divertente, dove a contare non sono tanto la lingua o la religione, quanto la complicità nello scambiarsi i compiti di scuola, i pomeriggi spesi a trafficare caramelle e dvd in un seminterrato, un segnale segreto lanciato attraverso le suonerie ad ultrasuoni dei cellulari. È davvero un gioco di bambini quello che ci racconta Romain Goupil nel suo Tutti per uno (Les mains en l’air), storia di un gruppo di ragazzini delle elementari che ribellandosi alle leggi dei grandi si stringe intorno alla sans-papiers Milana per evitarne il rimpatrio forzato in Cecenia assieme alla sua famiglia.
L’idea, semplice ma non semplicistica, è quella di mostrare uno dei temi più scottanti della nostra contemporaneità dal punto di vista cristallino, pacato e pre-ideologico dei più piccoli, cui fa da controcanto la veemenza e l’agitazione dei grandi impegnati in lotte epocali contro il nulla, o peggio contro una banda di amichetti che non chiede altro se non di stare insieme. Unica eccezione, quando si dice l’ironia della sorte, è il personaggio interpretato dalla cognata del premier francese Valeria Bruni Tedeschi, che con autentico piglio da attrice impegnata (ma senza eccessi sopra le righe) si offre con molta determinazione al ruolo di madre controcorrente, snobbata dai suoi coetanei proprio in virtù della sua empatia verso i sentimenti dell’infanzia. Una figura che ci ricorda come fuori e dentro lo schermo la realtà sia sfaccettata e complessa, ma che non ci sia bisogno di chissà quali dottrine politiche per districarla. Basta un ribaltamento di prospettive, un approccio ludico come quello dei bambini che Goupil dirige magnificamente, lasciando a loro il compito di condurre il gioco e di condurci senza forzature all’interno del proprio universo. Certo, non si può dire che in Les mains en l’air non si avverta costantemente una certa velleità autoriale e di denuncia, unita a una visione talvolta troppo utopica del comportamento infantile. Ma anche su queste considerazioni vince la scelta dei piccoli interpreti e il disarmante effetto di spontaneità reso possibile dalla regia: una macchina da presa che si incolla ai loro volti e alle loro piccole cose, senza mai lasciarsi distrarre veramente dagli adulti e dal brutto mondo che si vede dall’alto del loro disincanto.
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