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Dalla fine del 2008 all’inizio del 2012: è questo l’arco di tempo che passa dall’inizio dell’affaire Alitalia e l’uscita in sala (grazie al circuito di Distribuzione indipendente) di Tutti giù per aria, il documentario di Alessandro Tartaglia Polcini, Matteo Messina, Guido Gazzoli e Francesco Staccioli, diretto da Francesco Cordio, che racconta l’odissea dei lavoratori della compagnia di bandiera durante il fallimento. Tutto comincia nell’ottobre 2008, quando Alitalia sull’orlo del fallimento ha bisogno di essere comprata: ma piuttosto che Air France, il governo col consenso di sindacati e banche mette su una cordata per comprare la società attraverso la C.A.I. Ma cosa nasconde questo “salvataggio”? Un massacro sociale. Cordio assieme al montatore Francesco Biscuso monta e impagina le più di 80 ore di materiale degli ex-dipendenti Alitalia per trarne fuori il racconto di un “alicidio”.
Così infatti all’inizio del film viene definita la trattativa e la seguente vertenza che hanno trasformato Alitalia in C.A.I., raccontando il fallimento pilotato da parte del governo, delle banche e degli interessi forti del paese per impedire l’acquisto da parte della compagnia francese (in barba al libero mercato), con il risultato che i lavoratori sono stati costretti, previo assenso complice di parte del sindacato, ad accettare condizioni di lavoro ben peggiori. E il film racconta una delle molte “sospensioni della democrazia” italiana, la collusione della politica imprenditoriale italiana e quella europea, il banditismo di certi imprenditori che hanno usato Alitalia come prova generale per rivedere le relazioni industriali in Italia (come dimostra il caso FIAT), con molta passione ma anche non molta chiarezza, soprattutto nella parte iniziale sugli interessi politici del fallimento. Cordio, che realizza una cornice ad hoc con un pilota che si prepara per andare a lavorare e si ritrova sempre più spogliato e a pezzi durante il film, impagina con ritmo e decisione, non sfruttando sempre i vari contributi, eccetto il finale dedicato ad Ascanio Celestini (che compare nel film insieme a Dario Fo e Marco Travaglio), ma riuscendo a indignare lo spettatore e fargli venire voglia di saperne di più. E per un buon documentario è il minimo indispensabile.