Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA al produttore del film:
Il 3D si addice a Michael Bay: il cineasta americano principe del blockbuster più rumoroso e devastante, che ha sempre lavorato sui piani e lo spazio nei suoi film, trova con la tecnologia stereoscopica un ulteriore tassello della sua discutibile, ma coerente, idea di cinema. E lo utilizza con un terzo episodio che, almeno, sa migliorare i difetti del secondo. Quando l’uomo sbarcò sulla Luna, lo fece per un motivo preciso: recuperare un oggetto volante schiantatosi sul satellite e il suo contenuto. Ossia un vecchio Prime creduto morto, Sentinel, e degli oggetti potentissimi, che nelle cattive mani dei Decepticon potrebbe annientare la terra. Scritto stavolta dal solo Ehren Kruger – dopo l’ammasso informe del film precedente – il film è il solito giocattolo che butta tutto a ferro e fuoco ma con più idee del solito e un barlume di significato.
Se dopo il prologo para-storico, il film si apre con il fondoschiena della divetta di turno (stavolta è Rosie Huntington-Whiteley al posto di Megan Fox) per non rinnegare il retroterra dei film precedenti, il resto racconta di una società in cui gli Autobot, assistenti del governo, sono molto più integrati degli uomini che con loro hanno salvato il mondo: idea curiosamente politica che dà il là a una riflessione quasi teorica sul rapporto uomo-macchina all’interno del film e del cinema, con gli umani che stavolta partecipano attivamente all’azione spettacolare (e il pathos ne guadagna), ma che non possono far nulla per salvare davvero il mondo (o il cinema?). Bay abbassa le ambizioni narrative da saga fantascientifica a cartoon fantasy, da commedia a sitcom, ma alza quelle spettacolari con un volo su tute alari e una lunga sequenza in un grattacielo prossimo al crollo da antologia. Certo, il tono è più “infantile” che altrove, con i Transformers comici usati come fossero dei Muppets, c’è di sicuro una mezz’ora di troppo e il modo in cui Bay gioca con la Storia – come altrove faceva coi simboli della civiltà – è altamente discutibile (Chernobyl, di questi tempi, poteva essere anche lasciata in pace), ma la sceneggiatura trova un certo equilibrio interno nell’ora finale di fuochi d’artificio e il regista, al netto della sua ideologia, sa reinventare lo spettacolo. Poi non si riesce a dare credito alle sue pretese serie e retoriche, e gli attori come LaBeouf o Turtrurro fanno tappezzeria: ma il 3D stavolta funziona e dà modo anche allo spettatore più smaliziato di apprezzare il senso tecnico/tecnologico del cinema del regista americano.
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