Dal nostro inviato MASSIMILIANO SCHIAVONI
Talvolta accade che il contesto-cinema sia più forte della materia narrata. Succede con Toutes nos envies, nuovo film di Philippe Lioret passato a Venezia 68 per le Giornate degli Autori, opera che affronta, innanzitutto, uno dei temi principi del codice-melodramma. Amore e malattia, la riscoperta della vita nei pochi mesi che restano, il bisogno di riscattarsi tramite la dedizione agli altri. Vero melodramma, distillato nei suoi elementi-chiave, che però mostra una buona capacità di sollevarsi dalla vecchiezza dei temi tramite uno sguardo diverso, diretto, che cerca sì l’effetto drammatico, specie nella seconda metà del film, ma sempre tramite un’apprezzabile accortezza e cautela. Si tratta perlopiù di una scaltra scelta di eventi e di mezzi per narrarli, partendo prima di tutto da una giustapposizione tra due situazioni parallele che s’incrociano per un caso della vita. Congiungendo la vicenda di una giovane malata terminale a quella di una povera ragazza “derubata” dei suoi pochi averi per perversi meccanismi finanziari, Lioret tenta una sintesi tra due filoni narrativi che si vogliono interdipendenti per ellissi. Una storia che ne contiene un’altra più piccola, e che in qualche modo devono illuminarsi a vicenda ma tramite rimandi spesso impliciti, con in più la tessitura di un rapporto di difficile definizione tra la giovane malata e un uomo più attempato che non si allinea mai in un vero rapporto d’amore e che, tuttavia, presuppone una complicità più alta, sottile e impalpabile. Lioret si muove con la sordina, allestendo rapporti umani in cui, tramite un uso intelligente del dialogo, si parla sempre di “altro”, giocando molto sui sottintesi e sull’inespresso. Al contempo, l’autore trae il meglio dai suoi attori, in particolare dai due protagonisti Marie Gillain e Vincent Lindon. Ma, per l’appunto, la scaltrezza di Lioret risiede soprattutto nella scelta dei “modi di narrare”.
Esempio: la protagonista ha il primo vero malore in mare, nuotando. Un evento spudoratamente melodrammatico nel fatto narrato, quanto ellittico nella realizzazione. In primo piano la ragazza che avanza, soffocando. In secondo piano, inizialmente sfocato, Vincent Lindon tenta di raggiungerla, ottenendo così un depotenziamento drammatico, perseguito tramite strumenti puramente linguistici che denota un’intenzione autoriale, una ricerca propria. Resta comunque, al di là delle apprezzabili intenzioni del regista, una vaga sensazione di fine a se stesso. Il puro melodramma, per sua definizione, è a sua volta fine a se stesso, è vero. Ma allora non si capisce per quale ragione la vicenda scelta in parallelo debba risuonare di facili polemiche sociali. Non si capisce perché si tenti, sia pure sottotono, anche il dramma civile. Troppo facile e buonista come controcanto alla vicenda principale, troppo tenuto a briglia corta per poter essere credibile. Insomma, l’insieme suona un po’ falso, artefatto, costruito a tavolino. E questo a dispetto dell’impegno di Lioret nella rarefazione del racconto, nel “decentramento del senso” e nell’ellissi. Resta però la consueta eleganza cinematografica d’Oltralpe che, anche su materiali più o meno bassi, riesce sempre a garantire un medio livello di rispettabile realizzazione.