Dopo nove anni John Carpenter torna al grande schermo con il film “The Ward” presentato in anteprima al 28° TFF
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
09/12/10 – A nove anni di distanza da Ghosts of Mars (Fantasmi da Marte) e a circa un lustro dall’esperienza dei Masters of Horror (Cigarette Burns, 2005, e Pro-Life, 2006) John Carpenter è finalmente tornato alla regia con The Ward, presentato al 28° Torino Film Festival.
Che dire? Che Carpenter non è più quello di una volta? Forse, per parafrasare una celebre frase di Gloria Swanson, sarebbe più giusto dire che il cinema non è più quello di una volta, mentre Carpenter è rimasto esattamente lo stesso. Basta guardare la regia del suo nuovo film per capirlo: carrellate e movimenti di macchina precisi ed espressivi, messa in scena rigorosa e sempre calibrata nel lavorare su visibile e invisibile, fotografia d’epoca, ecc. Quel che non convince è l’adattabilità del cinema carpenteriano alla storia che si racconta in The Ward: un gruppo di ragazzine rinchiuse in un manicomio, combattute tra desiderio di fuga e paura del fantasma di una di loro che si aggira con fare inquietante tra androni e corridoi. Si tratta a tutti gli effetti di un horror psicologico, un terreno che non era mai stato affrontato dal cineasta americano. Mancano poi gli elementi classici del suo cinema: la meccanica da buddy-movie figlia di Howard Hawks e l’inesplicabilità del Male, l’impossibilità cioè di darne una spiegazione naturale. Certo, resta la claustrofobia del luogo che a tratti fa pensare a The Thing (La Cosa, 1982) – ci si riferisce in particolare al modo in cui sono girate le scene nella sala in comune del manicomio, molto simili per regia a quelle della sala hobby del remake del film di Hawks/Nyby – ma comunque non è abbastanza…
Quel che si legge infatti a ogni fotogramma è tutt’altra vicenda: la lotta del regista John Carpenter per continuare a proporre il suo cinema ormai irrimediabilmente old-style. Un atto quasi di resistenza, se non di tenace sopravvivenza. La dicotomia tra l’ancoraggio al passato e l’evidenza del presente risulta immediatamente visibile già nel formato di The Ward: girato in pellicola ma montato in digitale e passato su supporto numerico per essere proiettato nelle sale, questo film dimostra di avere la grana di una pellicola d’annata privato però della sua materia prima, reso immateriale dalla digitalizzazione e dunque raffreddato. Un altro elemento di spersonalizzazione autoriale è la musica: la colonna sonora è completamente priva delle topiche carpenteriane, forse per la prima volta, e piuttosto sembra essere debitrice di certo b-horror italiano degli anni Settanta. Detto questo, va comunque ricordato che un film come The Ward va visto quantomeno per assistere a una lezione di regia: nessuno oggi gira più con la stessa precisione di messa in quadro e nessuno riesce a costruire dell’action lavorando sulla plasticità dell’immagine e del montaggio.
La costruzione delle sequenze dall’insieme al dettaglio, il lavoro sul campo/controcampo, il passaggio dall’esterno all’interno, sono tutte tecniche di regia che obbediscono alle vecchie regole hollywoodiane. E se Carpenter negli anni Settanta si poteva definire come colui che voleva riscrivere il cinema della Hollywood degli anni Cinquanta, oggi appare l’unico classico rimasto, l’unico a volersi ancora inscrivere in un terreno ormai (purtroppo) dimenticato, tanto da sembrar provenire “from another world”.