(Dalla nostra inviata Giovanna Barreca)
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13/12/10 – Presentato nella sezione Italiana.doc del 28° Torino Film Festival, Una scuola italiana di Giulio Cederna e Angelo Loy entra nell’istituto per bimbi dai 3 ai 5 anni “Carlo Pisacane” nel cuore del quartiere Torpignattara. Altissima la percentuale di bimbi nati da genitori stranieri e infaustamente salita agli ‘onori’ delle cronache per la rivolta dei genitori ‘italiani’ che consideravano il soprannumero uno scandalo. In realtà è l’idea che tutti noi vorremmo di scuola e di società. Un luogo dove una bimba ama i lineamenti di un’altra coetanea perché diversi dai suoi, e nella conoscenza di una storia, almeno nelle origini, diversa dalla sua, trova il modo di crescere e di arricchire il suo animo e nello stesso tempo la comprensione di sé. Il problema sono i modelli di riferimento – gli adulti – che stanno all’esterno. L’alta borghesia sceglie scuole dove ci sia interazione tra culture diverse – come ricordano alcune tristissime battute finali del documentario con la voce strafottente di Paolo Guzzanti – ma quando questo accade fisiologicamente in un quartiere periferico e operaio dove in diversi decenni tante piccole comunità si sono insediate, tutto questo va condannato da pochi cittadini di origine italiana, che si permettono di non considerare italiani bimbi nati qui che sanno parlare anche dialetto come i loro figli?
“La normale semplicità di quello che accadeva dentro era per noi una risposta più che efficace alla brutalità e all’ignoranza a quel che accadeva fuori” ha affermato Giulio, che ricorda benissimo le decine di telecamere che presidiavano l’ingresso della scuola. Una scuola italiana è nato così dal desiderio forte di raccontare in maniera diversa – telecamera ad altezza di bambino – quello che c’era davvero all’interno dell’isituto, perché in fondo era chiaro che fosse in atto un grande lavoro di strumentalizzazione governativa per stigmatizzare una scuola ghetto e trovare una legittimazione popolare per prendere provvedimenti vergognosi per un Paese europeo. “Questa cosa aveva veicolato tanti cattivi sentimenti, soprattutto dopo le manifestazioni di “Forza nuova”. Fu un anno di grande fragilità ma le maestre e noi del laboratorio volevamo mostrare come si è attuata una comunicazione non verbale tra noi, i bambini e le loro famiglie. Quale fosse l’emozione dell’imparare quotidiano e come siamo arrivati al grande gioco di Oz, un gioco di iniziazione che coinvolge tutti” precisa Cecilia.
Una contronarrazione: seguire il laboratorio sul “Viaggio di Dorothy” che finisce nel magico mondo di Oz dove tutti gli esseri che incontra sono diversi da lei e dove tutti alla fine riusciranno a superare le reciproche differenze. Alla fine Dorothy vive benissimo nel mondo di Oz ma afferma: “Nessun posto è bello come casa” e ne nasce un intenso gioco di sguardi tra genitori e figli, tra chi considera ormai l’Italia – i figli – come casa propria e i genitori per amore della prole ormai integratasi, non torneranno più nella loro. I laboratori nella scuola aiutano anche i genitori, perchè la loro nostalgia non diventi qualcosa di deleterio.
Noi abbiamo amato questo documentario. Abbiamo amato i volti degli italiani di oggi così diversi, ricchi di storie personali e pronti a unirsi per raccontare una storia nuova tutti insieme. Le disposizioni ministeriali fissano un tetto massimo – non superiore al 30% per classe – di bambini nati in Italia da genitori extracomunitari. Se giudicate la norma anticostituzionale e pensate che l’integrazione non sia un fatto numerico, potete firmare l’appello visitando il sito di Una scuola italiana.