Non un lavoro accademico in grado di documentare l’opera dell’architetto Piero Bottoni ma un film avvolgente con un’attenta scrittura avvenuta in fase di riprese e di montaggio perché il materiale girato negli anni di attività di Bottoni, le due fotografie, i suoi progetti e le nuove interviste ai suoi ex allievi Giancarlo Consonni e Graziella Tonon, oggi custodi del suo prezioso archivio, non fossero pura rappresentazione di ciò che fu costruito e studiato ma materia viva di scoperta.
Una giornata nell’archivio di Piero Bottoni di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, in anteprima alla quarantesima edizione del Torino film festival (Fuori concorso) non è un lavoro su commissione ma molto altro, proprio per la sapienza dei due registi di scrivere con la materia filmica evitando le spesso noiosissime interviste frontali per mettere invece Consonni e Tonon davanti al proiettore perchè potessero vedere le opere di Bottoni e dialogare direttamente con lo spettatore, all’interno della Cineteca di Milano. Cuore del documentario è l’analisi delle bobine in 8 e 16 mm girati da Bottoni, mai più riviste (e mai digitalizzate) negli ultimi 50 anni. Pellicole dimenticate dove ci sono le immagini del lavoro di Bottoni. I suoi scritti e le due fotografie completano e danno ulteriore sostanza al suo impegno. Bottoni fu un modernissimo precursore che voleva coniugare estetica ed etica perché la bellezza non fosse di pochi ma di tutti.
Visitò le case fatiscenti degli operai per capirne la composizione e poterle trasformare perché, in soli 30 mq tutti potessero trovare una casa ospitale e in armonia, perché tra spazio e comunità – come si dice nel film – non ci sia distanza ma un tentativo di fusione. Scatti sorprendentemente significativi che sanno raccontare anche l’emigrazione verso il nord di centinaia di migliaia di famiglie. Foto a luce di magnesio di una grandissima forza visiva che fu utilizzato da Bottoni per progettare le nuove case popolari per tutti, visto l’emergenza abitativa soprattutto nel dopoguerra.
Inoltre Bottoni verrà ricordato per sempre dai più per aver creato una montagna a Milano, per il Monte Stella nato dalle macerie della Seconda Guerra mondiale che interessò anche Roberto Rossellini. Dall’inferno delle macerie, dalla morte e distruzione nacque la vita, “una collina risorta nel verde” perché come scrisse: “Se il Monte Stella è nato, è cresciuto, si è coperto di alberi, di viottoli e di strade, è perché fu un sogno e una poesia e perché io vi ho creduto. Giacché sogno e poesia muovono, malgrado le apparenze, il mondo”.
Con Massimo D’Anolfi e Martina Parenti che abbiamo imparato ad apprezzare grazie a L’infinita fabbrica del Duomo, Spira mirabilis, – solo per citare alcuni dei loro film più noti -, abbiamo parlato dell’architetto, poeta, pittore Bottoni e della forma scelta per raccontarlo.
giovanna barreca