Bakroman, un film dei fratelli De Serio girato in Burkina Faso, presentato al TFF
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
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03/12/10 – Bakroman, presentato al 28° Torino Film Festival nella sezione competitiva Italiana.doc, è un documentario che ri-mette in questione la funzione antropologica dell’osservatore partecipante di malinowskiana memoria. Gianluca e Massimiliano De Serio, gli autori del film, hanno seguito per un mese in Burkina Faso un’associazione auto-costituita di ragazzi di strada (“bakroman” per l’appunto in ligua moré) che si fa carico della difesa da violenze e soprusi subiti di chi è completamente dimenticato dalla società. Privi di un qualsiasi aiuto statale, questi ragazzi intervengono come possono: ma più che l’azione è la parola ad avere una funzione essenziale. Nel corso di lunghe riunioni si enucleano i vari problemi e si cercano le possibili soluzioni. Fondamentale in tal senso è lo scopo della prima riunione mostrata nel film in cui, tramite il ragionamento, si arriva alla conclusione che, di fronte a una violenza, l’unica possibile soluzione sia l’intervento della polizia. Può sembrare banale come rimedio eppure, come insegna già Eschilo nell’Orestea, esso è consustanziale alla nascita stessa di una società civile, cosa che in Burkina Faso è ben lungi dal realizzarsi. Bakroman propone una modalità visiva semplice quanto efficace: lunghi piani-sequenza concentrati sui limitati spazi e sui volti, proprio per enfatizzare l’importanza della parola, la centralità della verbalizzazione nel processo educativo di questi ragazzi.
La speranza per un futuro meno precario viene già da questo, ma i De Serio hanno scelto di chiudere il loro film con alcune note ulteriormente positive: la nascita di una piccola quanto romantica storia d’amore (ripresa di nuovo senza interventi registici) e l’acquisizione di un mestiere da parte di uno dei protagonisti del film. Bakroman perciò prende forma per e attraverso un’etica capace di tramutarsi in coerente discorso estetico ed è in questo lavorio, fatto di una ricerca costante dell’inquadratura non esotica ma “giusta” sotto il profilo morale, che i De Serio si fanno carico di una documentazione sofferta e dunque di una possibile ri-definizione di quel cinema documentario che un tempo veniva definito etnografico.