Dalla nostra inviata LIA COLUCCI
Con Too Big Too Fail siamo molto lontani dal rampante yuppismo e dall’euforia finanziaria che si respirava in Wall Street il film di Oliver Stone nel 1987 e nel rampantismo spregiudicato che si incarnava in Gordon Gekko (la cui interpretazione valse a Michael Douglas l’Oscar). Il film, prodotto televisivo della HBO che sarà in onda su Sky il 4 novembre, è diretto da Curtis Hanson, anche Premio Oscar per lo script di L.A. Confidential, e preferisce le atmosfere shakespeariane per raccontare la drammatica crisi economica statunitense del 2008 che coinvolse sia la finanza che il mondo politico americano. Too Big Too Fail – Il crollo dei giganti è infatti tratto dall’omonimo best-seller di Andrew R. Sorkin reporter del “New York Times” che pubblicò una serie di incredibili scoop svelando i retroscena che giacevano dietro alla crisi. Se Stone raccontava il momento d’oro delle speculazioni, Hanson fa i conti con la congiuntura economica, scoppiata quando Hank Paulson, un brillante William Hurt, Timothy Geithner (Billy Crudup) Presidente della Federal Reserve di New York e Michelle Davis (Cyntia Nixon) Segretario e Direttrice del Tesoro per gli affari pubblici, si trovano tra le mani la classica patata bollente. Un problema che potrebbe trascinare con se tutta l’economia mondiale: il possibile fallimento della Lehman Brothers che rappresenta la quarta banca d’investimento del Paese amministrata da un eroe volitivo e solitario Dick Fuld (un ottimo James Woods).
Dopo che Paulson indice una riunione tra i banchieri più importanti d’America e tenta disperatamente una mediazione, la situazione si fa tragica e la Lehman cola a picco dopo che è sfumata l’ultima proposta di una banca inglese. Probabilmente stessa sorte toccherà alla Merril Lynch di John Thain (Matthew Modine) anch’essa a un passo dal baratro. In questa logica sconcertante dei “Sommersi e dei Salvati”, Paulson salverà solo l’AIG una società di assicurazioni con beni e valori immobiliari a cui sono legate con polizze assicurative milioni di americane. Mentre James Woods rimane inchiodato al televisore in compagnia della sua rabbia e di un bicchiere di whisky dopo aver visto sbriciolarsi la sua banca. Un film splendidamente realizzato nonostante il cineasta abbia dovuto privilegiare, visti gli argomenti, gli interni degli edifici, teatro di uffici e salette meeting con riunioni interminabili che giocano sul campo-controcampo. Ma questo non toglie ritmo all’opera che mantiene viva sempre una certa suspence, inoltre si deve riconoscere a Curtis Hanson di aver colpito nel segno nel cogliere in maniera intelligente uno dei grandi temi dei nostri ultimi anni: la crisi americana finanziaria e globale spesso gestita in maniera incoerente e arbitraria dalla politica. Sullo sfondo Hanson fa scorrere la campagna elettorale di Obama, che però si è rivelato non essere un nuovo Roosvelt. All’orizzonte, infatti, non pare esserci nessun New Deal.