Una fine tragica e inaspettata: Tony Scott s’è tolto la vita – secondo le notizie delle prime ore – dopo aver ricevuto la diagnosi di un tumore al cervello che non poteva essere operato. Di lui e dei suoi film si sentiva parlare sempre meno, un po’ lontano dai fasti degli anni ’80 che l’avevano incoronato autore di un cinema adrenalinico, prettamente commerciale, e nelle sue punte più estreme anche estenuante. E’ sempre stato meno celebrato del noto fratello Ridley, autore di almeno una manciata di cult-movie come I duellanti (1977) Alien (1979), Blade Runner (1982), Thelma e Louise (1991), ma negli ultimi quindici anni più o meno allineato alla tendenza industriale di Tony. Dalla sua, Tony non ha mai cercato strade cinematografiche di spiccata autorialità. Venuto dalla pubblicità, ne sfruttò la retorica espressiva per approntare, a suo modo, un nuovo cinema patinato e tirato a lucido, ben in linea con le tiepide ideologie anni ’80.
Top Gun (1986), successo planetario che lanciò Tom Cruise come sex-symbol e attore “di superficie”, riassume perfettamente l’approccio di Tony Scott al cinema: culto neo-dionisiaco del corpo, neo-militarismo ammantato di eroismo goliardico e guerrafondaio, superficialità tanto esibita da farsi sostanza antropologica di tutto un contesto storico-sociale, minima cura per la sceneggiatura, assemblata per macroscopici luoghi comuni neo-machisti, e mirabilie visive decisamente cheap. In poche parole, il cinema più reaganiano possibile. Se non altro, Tony Scott mostrò di saper tastare furbescamente il polso al pubblico del suo tempo. Top Gun sfondò ovunque, e rimase il suo più grande successo. Ma sono altre le opere di Scott da riscoprire: il suo esordio, Miriam si sveglia a mezzanotte (1983), altrettanto patinato ma sorretto da un’intrigante triade di protagonisti (Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon) e il felicissimo incontro con Quentin Tarantino, che sceneggiò per lui Una vita al massimo (1993), film di inconsueto basso budget per Scott ma ricco di idee, forse il suo miglior film in assoluto. Il resto è sontuosa produzione USA coca&popcorn. Non a caso Tony Scott è stato uno dei registi preferiti dell’accoppiata di produttori Don Simpson-Jerry Bruckheimer, che di volta in volta lo chiamarono a dirigere nuove forme di polpettone americano. Sì, perché oggigiorno l’interminabile polpettone americano non è più soltanto il kolossal parastorico (genere molto amato negli ultimi anni dal fratello Ridley), ma anche il filmone tutto-azione, che trascina per una media di due ore e mezzo una vicenda insensata al montaggio subliminale di inquadrature sotto la soglia del secondo. L’evoluzione di quello stile pubblicitario promosso da Tony Scott fin dagli anni ’80, che nelle sue opere successive raggiunse punte di notevole nausea visiva come in The Fan (1996), Nemico pubblico (1998) o Man On Fire (2004). L’occasione è tragica, ma ciò non può farci dimenticare che della deriva espressiva mainstream americana Tony Scott ha fatto stabilmente parte. Il pubblico, del resto, gli ha spesso dato ragione, nell’infinito gioco delle parti tra autori, produttori e spettatori che si rimbalzano a vicenda le responsabilità di un’industria un po’ barbara e ripetitiva.