Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA a:
Dopo l’enorme successo ottenuto dai film di Checco Zalone e dopo le performance di comici televisivi vari “prestati” al grande schermo, sembra purtroppo inevitabile che una nuova ondata anomala di assidui frequentatori di Zelig si abbatta sui lidi del cinema italiano. Lo tsunami comincia in modo piuttosto appropriato con il personaggio di Jonny Groove, il discotecaro non troppo sveglio di Giovanni Vernia, cui ben si addice il ruolo di calamità naturale cucitogli addosso perfino nel film Ti stimo fratello. Scritto e diretto dallo stesso comico insieme al collaboratore Paolo Uzzi, l’esordio di Vernia non poteva infatti reggersi unicamente sulla macchietta resa famosa dalla passerella televisiva, troppo sopra le righe per funzionare da sola in un contesto narrativo credibile. Ecco così che il film parte compiendo una scelta a dire il vero oculata, cioè quella di sdoppiare l’uomo e il personaggio al centro del film: Vernia diventa sia Jonny Groove sia il suo fratello serio e rispettabile, un ingegnere elettronico molto posato e ligio al dovere che, a detta dello stesso autore, ricalca molti dei suoi tratti biografici a partire dal nome di battesimo. Come il vero Giovanni Vernia, quello cinematografico si è laureato in una disciplina tecnica, ma a differenza di quello originale, il Vernia del film non si dedica agli spettacoli comici. Trasferitosi da Genova a Milano in cerca di fortuna, ma con scarsissimo successo professionale, il protagonista del film ha finito col fidanzarsi con la figlia del direttore di un’agenzia pubblicitaria, dove lavora suo malgrado come creativo. Certo, la sua compagna si comporta come una dittatrice insopportabile, inventarsi slogan per prodotti orribili e scadenti non risponde a nessuna delle sue aspirazioni e, soprattutto, i suoi impacciati tentativi di approccio non sembrano avere alcun appeal su Alice, l’incantevole cameriera di cui sembra infatuarsi ogni giorno di più. Tutta la sua vita si regge su un equilibrio tanto finto quanto precario, ma a sconvolgerla ci penserà il buon “gemello fratello” Jonny Groove, giunto in città per sostenere l’esame di ingresso nel corpo delle Fiamme Gialle per cui il padre lo ha regolarmente raccomandato. Folle e näif, subito attirato dalle serate in discoteca della Milano da bere, Jonny non ci metterà molto a mandare in mille pezzi la routine del povero Giovanni, costretto così a fare i conti con la propria esistenza repressa.
A favore di Vernia e di Ti stimo fratello, c’è da dire che quello dell’interprete e regista era forse uno dei personaggi più complicati da trasporre in un lungometraggio per il grande schermo. Nonostante la figura di Jonny Groove si basi sulla parodia di alcuni elementi deteriori della cultura giovanile nutrita a suon di house e Maria De Filippi, la sua comicità si contraddistingue essenzialmente per i tratti demenziali del personaggio e per la sua parlata biascicata. Quella di Vernia non sembrerebbe, insomma, un’ironia tanto sottile da consentire di andare oltre lo sketch e di costruire un discorso dotato di una struttura minimamente credibile. Scegliendo il sentiero ben lastricato della commedia degli equivoci, del doppio e del protagonista un po’ tonto, Ti Stimo Fratello riesce invece ad agganciarsi a suo modo al genere, diciamo slapstick, e a confezionare un prodotto di certo non eccellente ma nemmeno così disastroso come ci si potrebbe attendere in maniera anche legittima. Vernia regge bene la parte “seria” del film, e si contorna di solidi comprimari tra cui Maurizio Micheli nel ruolo del padre finanziere col vizio di regalare Rolex (tarocchi) a chiunque possa aiutare la carriera dei figli, Diego Abatantuono in quello del gestore di una discoteca supertrendy nella Milano da bere, o Paolo Sassanelli in quello del maresciallo che vive un rapporto conflittuale con il figlio travestito. Nonostante la trama sia esigua e la comicità mai particolarmente raffinata, la commedia scorre senza troppi giri di parole verso il suo prevedibile epilogo, svolgendo il compito base di intrattenere i fan di Jonny Groove senza far pesare il fatto di essere al cinema, e lasciando loro apprezzare anche un Vernia in versione da ufficio. Rimane sempre il quesito amletico sul perché recarsi in sala per fruire uno spettacolo sostanzialmente identico a quello televisivo, non grazie ma quasi “nonostante” il mezzo cinematografico. Ma questa, è un’altra storia.
Vai alla SCHEDA FILM