Fa sempre più impressione il percorso del cinema friulano, ormai capace di affermarsi sulla scena nazionale grazie a una precisa politica culturale regionale, per certi aspetti paragonabile al lavoro fatto in Piemonte e in Puglia. Così, per citare i titoli più famosi, dopo L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin, Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto e il vincitore del Festival di Roma Tir di Alberto Fasulo, esce in sala – a partire dal primo aprile – anche The Special Need di Carlo Zoratti, un altro impressionante esperimento che rimette in discussione i codici del documentario e della fiction. Protagonista è infatti Enea Gabino, un ragazzo che soffre di autismo, e che, desideroso di incontrare una donna di cui innamorarsi, intraprende un viaggio verso la Germania in compagnia di due suoi amici, Alex Nazzi e lo stesso regista Carlo Zoratti: l’obiettivo è raggiungere un centro in cui viene data assistenza sessuale a persone che soffrono di disturbi fisici e psichici; un qualcosa che in Italia, allo stato dei fatti, è assolutamente impensabile.
Tra buddy movie e road movie
Dallo spunto iniziale nasce in The Special Need un racconto di formazione che, da un lato, si carica degli stilemi classici del road movie (il percorso a tappe, con gli ostacoli e gli imprevisti che, inevitabilmente, si incontrano lungo il cammino), dall’altro si caratterizza come una classica storia d’amicizia, un po’ da buddy movie e da college movie. L’obiettivo, infatti, se vogliamo è quello che caratterizza tanto cinema adolescenziale americano: vivere una notte di sesso, trovare una donna di cui magari innamorarsi. Con la differenza, ovvia, che qui i due amici sono al servizio del protagonista Enea e delle sue debolezze, delle sue indecisioni e dei suoi ripensamenti. Il tutto messo in scena senza alcuna forzatura patetica, né senza mai alzare i toni del dramma, anzi lasciandosi anche andare a momenti di naturale leggerezza.
Il regista in scena
Elemento decisivo per la riuscita di The Special Need è la presenza in scena, tra i tre protagonisti, dello stesso regista. Carlo Zoratti, in questo modo, mostra la volontà di mettersi in gioco, non nascondendosi a giudicare dietro la macchina da presa i movimenti e gli imbarazzi di Enea. La scelta di apparire è stata dettata in realtà da necessità produttive: inizialmente, infatti, Zoratti non era tra i personaggi, ma ha dovuto rivedere il tutto quando si è reso conto che non sarebbe stato possibile evitare a Enea di guardare sempre in macchina per rivolgersi a lui. Evidentemente, il richiamo istintivo di Enea ha giovato al film: portando con sé il suo regista all’interno dell’inquadratura, il protagonista ha così aumentato il grado di naturalezza dell’operazione.
L’ingenuità e la saggezza
Sia pur con situazioni scritte e prestabilite, The Special Need vive proprio della istintività primitiva di quelle opere “fatte” sul set, dove l’improvvisazione è regolata da un attento studio preparatorio. Colpiscono, ad esempio, le sequenze di Enea che cerca invano di abbordare delle ragazze per strada o in piscina. Queste scene, invece di caratterizzarsi come “messa in ridicolo” del protagonista, fanno soffrire lo spettatore spingendolo a empatizzare con Enea e convincendolo della necessità di trovare una soluzione al desiderio del ragazzo. Così, il film raggiunge l’apice nella sequenza al centro di assistenza sessuale dove si fa la conoscenza con la magnifica Ute, che porta con sé un repertorio unico di umanità, capace di armonizzare perfettamente, nel modo in cui si rapporta con Enea, gli apparenti opposti dell’ingenuità e della saggezza. E, a ben vedere, è proprio in questa dicotomia di superficie che si muovono il senso e la pratica di The Special Need: un protagonista che sa spiazzare con le sue osservazioni e che magari si perde nelle azioni più semplici e un regista che, digiuno di studi cinematografici, riesce a costruire un racconto empatico e coinvolgente con degli strumenti semplicissimi.
Alessandro Aniballi per Movieplayer.it Leggi