Evento speciale al 5° festival internazionale del film di Roma, arriva finalmente il film sulla nascita di Facebook
(Dalla nostra inviata Giovanna Barreca)
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Jesse Eisenberg – attore protagonista di The social network
11/11/10 – L’avvenimento che maggiormente ha segnato il nuovo millennio è sicuramente la nascita di nuove forme di comunicazione e quella dei social network, come ha detto lo stesso regista David Fincher: “ha sicuramente trasformato le nostre relazioni sociali o comunque il modo nel quale le vivevamo”. Scoprire poi, attraverso il suo film, che tutto è iniziato grazie alle frustrazioni di un ragazzo di Harvard, è sicuramente un aspetto curioso. The social network era la pellicola più attesa del 5° festival internazionale del film di Roma, e ha riscosso il nostro totale coinvolgimento nel raccontare questa vicenda che, giocando su due archi temporali diversi – quello lineare degli avvenimenti e quello che sono le tante cause legali che ne sono seguite – non ci ha mai annoiati per tutti i 120 minuti della sua proiezione.
Il film è un racconto interiore fatto degli sguardi di diversi geni, tutti potenti, avidi, gelosi e vuoti. Il ritratto dello studente squattrinato, esile, ‘nerd’ Mark Zuckerberg, ideatore di Facebook è quello che emerge per primo e si tratta sicuramente di un giovane ventenne pieno di insoddisfazioni personali che riesce a sfogare utilizzando una vita digitale nella quale nasconde la sua rabbia e le dà ragion d’essere trasformandola in qualcosa di creativo e di sorprendente che ha cambiato profondamente la nostra vita quotidiana. Poi c’è lo scontro con altri ragazzi brillanti della sua Università che, quando il sito si diffonde a macchia d’olio prima nelle 5 università più importanti d’America, poi in tutto il Paese, per poi arrivare in tutto il mondo (oggi gli utenti sono 500 milioni, se Facebook fosse uno stato sarebbe 1,5 volte più popoloso degli Stati Uniti e il terzo più grande del mondo ndr) gestiscono in maniera discutibile quello che accade. Un cambio continuo di prospettive (dall’oggettiva alla soggettiva di Mark e non solo) per capire come sia stato possibile arrivare a un prodotto da 25 miliardi di dollari; tanto vale quello che intelligentemente Mark, per molti mesi, è riuscito a non trasformare in oggetto commerciale mantenendo la sua natura anarchica più pura.
Tratto dal libro “The accidental billionaires” di Ben Mezrich, il film non si schiera con nessuno dei ragazzi protagonisti della vicenda ma, come precisa lo sceneggiatore Sorkin, è “più interessato alle sfumature grigie che ai bianchi e ai neri della vicenda. Inoltre l’idea di una serie possibile di scenari sembrava molto più in linea con Facebook stesso che con ciò che il social network è in realtà, con le molteplici possibilità di reinventare, fabbricare, mostrare un concetto molto personale di verità”. Fincher, autore da sempre molto interessato all’aspetto più intimo della natura umana – basti ricordare Il curioso caso di Benjamin Button, Seven o Fight club – precisa che “una persona non è una sola cosa; da questo concetto l’intera struttura narrativa è diventata un modo per raccontare il tutto”. La forza del film, tra le cose migliori – soprattutto stilisticamente parlando – viste al festival, sta nella scelta di toni sempre asciutti che permettono di privilegiare l’approfondimento psicologico: Fincher usa molti piani e un montaggio dinamico senza sbavature. Riesce a creare lo spazio di Mark (e di Eduardo, dei gemelli Winklevoss e di Sean Parker), uno spazio interiore asciutto e complesso esplicitato anche dall’uso di una musica sempre discreta ma indispensabile vista la quantità di dialoghi serrati presenti.
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