Oltre i maestri riconosciuti come Ortolani e Morricone, Cipriani e Piovani, la nuova frontiera della musica italiana per il cinema è da cercare nell’elettronica e nel suo utilizzo. Pioniere e tra i più abili tessitori di suoni, per lo schermo e non, Teho Teardo ha rivoluzionato il concetto italiano di colonna sonora grazie alla sua preparazione sulla musica sintetica e le sperimentazioni del secondo dopoguerra: lo abbiamo incontrato nel suo studio di registrazione per la presentazione di Music for Wilder Mann, il suo ultimo album solista.
Partito da studi classici (il clarinetto), Teardo arriva negli anni ’80 alla scena industrial, al gioco tra strumenti tecnologici e classici arrivando nei primi ’90 a fondare i seminali Meathead, gruppo che alle chitarre del rock mescola l’invettiva del rap, i rumori industriali e l’elettronica. Cinque album che fanno il giro del mondo e lo fanno approdare nel 2000 al cinema, ai Denti di Gabriele Salvatores che gli aprono una lunga e fruttuosissima strada sul grande schermo.
La sua musica stratificata, complessa nel legame tra computer, invenzioni sonore e revisione della melodia si sposa perfettamente con la nuova generazione di autori che si fa larga proprio con l’arrivo del 21° secolo: Guido Chiesa, il cui Lavorare con lentezza è la prima nomination di peso (Nastro d’argento) della sua carriera, Andrea Molaioli, che gli porta due nomination ai David per La ragazza del lago e Il gioiellino, Daniele Vicari, forse il più vicino all’universo sonoro di Teardo, che con Il passato è una terra straniera e Diaz lo porta alle nomine ai Nastri e infine Paolo Sorrentino, la più prestigiosa collaborazione del compositore romano, col quale realizza L’amico di famiglia e Il divo, con cui guadagna un David (per il film sulla vita di Andreotti) e 2 nomination, anche ai Nastri.
In attesa di sentire nuove note per nuove immagini, è in uscita per Spècula il suo nuovo disco, Music for Wilder Mann, opera strumentale ispirata al lavoro del fotografo Charles Fréger sui rituali e le tradizioni pagane dell’Europa: passando da Nyman a John Zorn, un disco intimo fino all’ipnosi, avvolgente fino alla claustrofobia, ma anche aperto da meravigliose melodie negli archi di Martina Bertoni che costeggiano (assieme al Balanescu Quartet, a Erik Friedlander e a Julia Kent) le composizioni progressive di Teardo. Che proprio come le fotografie paiono poter durare all’infinito, ma s’interrompono di colpo.