Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:
Adattare di nuovo per il grande schermo il Sud di Roberto Saviano non era un’operazione facile. Per portarla a termine ci voleva un peso massimo, e i realizzatori del film Tatanka hanno preso il compito alla lettera assoldando per il ruolo di protagonista il vicecampione olimpico di pugilato Clemente Russo, cui è dedicato anche il racconto originale contenuto all’interno del libro “La Bellezza e l’Inferno” che ha ispirato il lungometraggio. L’idea, illustrata dallo stesso regista Giuseppe Gagliardi, era quella di unire la denuncia sociale al cinema di genere sullo sport e sul pugilato, raccontando la storia di due ragazzi: due amici cresciuti insieme rubando macchine nel casertano e destinati a dividersi quando uno sceglierà la strada della Camorra e l’altro i sani valori di una boxe pulita e senza incontri truccati. Il risultato di questa impostazione sembra però disomogeneo, quasi come se dentro Tatanka fossero contenute due opere distinte, una improntata al pedinamento della realtà in stile Gomorra e l’altra più stereotipata – o “schematica” come la definisce anche Gagliardi – in cui vengono esposte come da manuale tutte le fasi della formazione del campione, dal rifiuto di perdere un match pilotato, all’incontro con un nuovo maestro, al ritiro per allenarsi.
Il film si apre seguendo l’iniziazione del giovane Tatanka al pugilato, ma sembra più un pretesto per descrivere il degrado materiale e sociale di cui si nutre la criminalità organizzata. All’interno di questo ambiente viene poi messo in luce il ruolo dello sport e delle palestre che, secondo il più classico degli schemi, tolgono i ragazzi dalla strada offrendo loro una piccola oasi di civiltà e una rara occasione di riscatto. Poi l’età adulta, l’incontro con la Camorra e i suoi riti chiassosi e cafoni (come descritti sempre da Saviano) e infine il lento riscatto tra sangue e dolore che volge inesorabilmente verso una tragica resa dei conti. E in questo incedere sempre più prevedibile e contornato di micro-narrazioni inconcludenti, l’opera perde molto del suo smalto e della sua carica iniziale. Per essere un film che parla di talento, Tatanka appare fin troppo medio e incasellato; conserva una buona fattura di fondo, ma resta eccesivamente debitore dei grandi modelli di genere da un lato, e dall’altro di questa nuova imperante poetica “della realtà” legata alla rappresentazione del Sud e della Camorra. Il messaggio arriva di sicuro forte e chiaro, ma non ha né la potenza corrosiva della denuncia né quella epica dei drammoni americani sullo sport. Che questa terza via incerta e altalenante risulti efficace è dubbio, mentre chi di sicuro si tiene sempre ben saldo sulle gambe e coi pugni serrati è il campione Clemente Russo, perfettamente a suo agio in un contesto a lui familiare e nonostante i problemi avuti con le Fiamme Oro. Il pugile di Marcianise è stato infatti espulso per sei mesi dal corpo di Polizia per cui lavora a causa di una delle sequenze iniziali di Tatanka in cui, prendendo spunto da un fatto di cronaca, gli autori hanno inserito la tortura e l’omicidio di un ragazzo innocente da parte delle forze dell’ordine che lo avevano scambiato per un criminale. Curioso il fatto che si tratti una delle più riuscite e penetranti del film.
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