Speciale Venezia 65
(Dalla nostra inviata Caterina Gangemi)
04/09/08 – In attesa dell`ultimo film italiano in concorso, quel Seme della discordia nel quale speriamo di ritrovare il miglior Corsicato, dall`anima kitsch e i guizzi grotteschi, e recuperare almeno un po` di dignità e orgoglio nazionale, ci rallegriamo di poter finalmente segnalare, in un mare di prove disastrose e imbarazzanti, almeno un titolo meritevole di interesse. Si tratta di Pranzo di Ferragosto, diretto dal maturo esordiente Gianni Di Gregorio, già sceneggiatore e collaboratore di Matteo Garrone, qui in veste di produttore. Con un budget ridotto, una regia essenziale e una storia semplice semplice, Di Gregorio è riuscito a confezionare un lavoretto, certo non eccelso e forse di portata troppo modesta per una sezione ambiziosa come La settimana della critica, tuttavia capace di riuscire nell`intento, spesso trascurato, di intrattenere con leggerezza pur lasciandosi dietro una punta di amarezza. Ma sarebbe scorretto non riconoscere al film l`abilità nel giocarsi la carta vincente, vero tocco di originalità, costituita dall`insolito cast composto da quattro arzille ottantenni non professioniste, alle quali va il merito di tutto lo spasso.
Un film che, grazie a un rapido passaparola, ha ben presto conquistato il pubblico della Mostra, un po` come avvenne l`anno scorso con la rivelazione Non pensarci di Gianni Zanasi, e che sembra destinato a diventare un piccolo “cult”. Magre soddisfazioni comunque, insufficienti, peraltro, a nascondere il disgusto verso l`atteggiamento della critica nostrana, quella degli immarcescibili “capoccioni”, ormai orientata sempre più verso un provincialismo talmente smaccato e spinto, tanto da mistificare la realtà riportando fantomatici consensi e applausi per il film, a dire il vero, più fischiato e sbeffeggiato del festival, e tessere le lodi, auspicandone la premiazione (la premiazione!) per un mediocre teleromanzo che ha disgustato la stampa internazionale per la sua apologia del fascismo. Ma d`altra parte, che bisogno abbiamo di Gerima e Bigelow, di Hathaway, quando stiamo così bene con i nostri Avati e Rohrwacher? Al buon Wenders, e soprattutto all`ottimo box-office, l`ardua sentenza…