Sguardi sonori
Figli delle stelle: L’eversione politica a ritmo di pop anni ’70
(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)
27/10/10 – Il periodo più buio della storia repubblicana del nostro paese è senza dubbio quello che va sotto il nome di anni di piombo, gli anni ’70 del terrorismo rosso e nero che segnarono un’epoca. Sulla quale il cinema nostrano ha cominciato a riflettere da relativamente poco: sulla scia di film mirabili come Buongiorno notte di Bellocchio si pone Figli delle stelle di Lucio Pellegrini che vira in commedia una storia di rapimenti e rivendicazioni politiche facendola diventare un racconto di perdenti e sfigati solidali.
Ad aiutarlo in questo operazione interessante e forse coraggiosa, seppure non del tutto riuscita, c’è Giuliano Taviani che si trova a dover affrontare da un lato una moda della commedia italiana, e cioè di mutuare titoli dalle canzoni, come se la musica fosse una sorta di modernariato usa e getta, e anche lo spirito più genuino del film. Il compositore – attivo da poco più di dieci anni nel cinema, ma già con un buon curriculum – riesce con classe e arguzia dove il film non riesce, cioè a rendere fino in fonda malinconia e simpatica sincerità senza cadere nella farsa. Aperto da una sorta di piccola sonata dolorosa (Marghera), ad accompagnare una morte sul lavoro, la partitura gioca di continuo tra vari registri, alternandolo o più spesso confondendoli: dalla tensione thriller di La renna all’ironia di Red Snow, dal mistero solare di Ramon all’oscurità di Toni, ai ritmi sbilenchi di Non solo e al drum ‘n’n bass di No Way Out. Fino ad arrivare all’immancabile Figli di stelle in versione dance o in versione acustica cantata da Irene Grandi: ma il meglio è nelle radici dell’autore, musicista jazz che dà prova di talento in Big Blind.
Bravo, quindi, Taviani a non cadere nelle trappole in cui cade il regista e a dare con la musica il tono semi-crepuscolare che un film del genere necessita. Anche questo fa un cinesta, che sia con le immagini o con i suoni.