Sguardi sonori – The Hurt Locker
Gli oscuri echi della guerra
(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)
03/03/10 – In Italia è passato quasi inosservato, dopo una calorosa accoglienza al Festival di Venezia, quando è uscito più di un anno fa, e anche negli Usa non ha fatto crollare i botteghini (meno di 13 milioni di dollari su 11 di budget), ma ha toccato qualche corda particolare ed è diventato la vera sorpresa della stagione, raccogliendo premi e riconoscimenti ovunque, in particolare sei BAFTA e nove nominations agli Oscar. Tra cui anche, a sorpresa, per la colonna sonora. A sorpresa perché la partitura di Marco Beltrami, prolifico e sempre più riconosciuto compositore italo-americano (già candidato a un Oscar con “Quel treno per Yuma”) non è propriamente quella che suol dirsi una musica da Oscar, sia per la scelta tematica e (anti)melodica, sia per il modo sotterraneo in cui la regista Katherine Bigleow l’ha usata. Una musica cupissima, di fortissima atmosfera, fatta di suoni dissonanti e ovattati, ritmi rumorosi e quasi industriali, rari accenni di strumentazione che richiamano le origini mediorientali e un uso angoscioso degli archi.
Più che una colonna sonora o una partitura, un magma sonoro che rende alla perfezione il senso filmico dell’opera di Bigelow, lontana mille miglia dal film bellico: la title-track d’apertura col suo incedere martellante e le voci dei muezzin dà subito il segno dell’operazione, che prosegue mescolando chitarre notturne (Goodnight Bastard) a tensioni elettroniche (Hostile), che sfoicano nell’uso di tre brani dei Ministry, band di metal industriale particolarmente indicata per lo spirito del film. Uno score tesissimo e nero come il petrolio, perfetto complemento di un film durissimo eppure esistenziale, che fa dell’attesa e della sua risoluzione il vero perno audio-visivo. E chissà che l’Academy stavolta non si conceda una botta d’indipendenza.