Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco
A Cannes, e un po’ ovunque, ha provocato reazioni contrastanti, ma Cosmopolis, il film di David Cronenberg tratto dal romanzo di De Lillo, ha fatto tornare il suo autore a un livello di complessità formale e concettuale che negli ultimi due film si era vista meno. A contribuire in maniera decisiva alla tenuta atmosferica della pellicola molti fattori, tra cui ne spicca uno per certi versi sorprendente: la musica di Howard Shore.
Più noto per le colonne sonore del Signore degli anelli – con cui ha vinto 3 Oscar – e di Hugo Cabret, legato a una certa componente magica e sinfonica della musica per film, Shore si getta a capofitto nell’iper-modernità tematica e tecnica del film di Cronenberg affrontando a viso aperto una msuica del tutto cerebrale, fatta di sotterranei beat, rumori elettronici, e melodie campionate e ripetute che guardano più agli Orbital che a Dimitri Tiomkin.
Con un orecchio all’eletro-pop ora tornato di moda e uno alla techno oscura di molte realtà underground, Shore apre lo score con l’evocativa White Limos, rassicurante e oscura come l’auto su cui si svolge quasi tutto il film, con una chitarra di sapore rock che spezza l’incedere dei bassi; Rat Men dà il tono crepuscolare all’intera soundtrack mentre Asymmetrical guarda all’elettronica d’autore, dagli Air in poi, per venare di lieve ironia i suoni. I Don’t Want to Wake Up è tanto ritmica e ballabile che non avrebbe sfigurato in Drive, mentre Benno chiude Cosmoplis in una lenta e funebre dissolvenza in nero. Unico brano “fuori scala” è Mecca di K’naan, il presunto cantante rap di cui Packer celebra il funerale durante il film.
Come i Daft Punk o i Chemical Brothers privati quasi del tutto di ritmiche e tenuti a bada dalla sperimentazione, Shore entra con precisione negli antri di quel senso del contemporaneo che rende implacabile e profetico Cosmopolis. Come se avesse capito il senso del film prima degli spettatori.