Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco
Poche volte un’accoppiata regista/compositore è stata più proficua di quella tra Danny Elfman e Tim Burton. Ma quella curata per Dark Shadows è una colonna sonora diversa, particolare, per un’operazione che allo stesso modo si pone in modo peculiare rispetto alla filmografia e alla discografia dei due artisti.
L’ultimo film di Burton infatti è una sorta di calco ironico e parodistico del mondo delle soap-opera, tipologia a cui l’originale Dark Shadows fa riferimento, e così anche Elfman usa la musica in modo diverso: da una parte componendo una partitura atmosferica perfetta per gli interni e per i dialoghi senza particolari picchi, dall’altra però sfrutta (con la supervisione di Michael Highman) il rock degli anni ’70 in un modo vicino a quello di Tarantino, specie nel suo A prova di morte.
Ci si trova così uno score diviso in due: prima la musica originale di Elfman, densa di archi, di timbriche e sonorità cupe (Deadly Handshake), orrore bagnato d’ironia (Barnabas Comes Home o il trittico The End, More the End e We Will End You) e tocchi anni ’70 come il moog che sorregge Shadow-Reprise; dall’altra, invece il gruppo di canzoni aperto dalla straordinaria Nights in White Satin di The Moody Blues e proseguito da I’m Sick of You di Iggy Pop, passando per l’ammiccante Barry White di The First, The Last, My Everything e chiudendo, ovviamente, con due brani di Alice Cooper eseguiti “live”: la mitica No More Mr. Nice Guy e la più sorprendente Ballad of Dwight Fry.
Come era necessario in un’operazione di questo tipo, Elfman si fa da parte e lascia che la sua musica accompagni semplicemente, affidano alle storiche canzoni che costellano la colonna sonora il compito di imprimersi nella memoria. E con quel tipo di nomi non avrebbe potuto fare altrimenti.