Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco
Già dal titolo Maternity Blues fa pensare alla musica, mentre si riferisce semplicemente alla sindrome depressiva post-parto. Ma è una suggestione che resta nello spettatore del film di Fabrizio Cattani che, a fronte di un risultato cinematograficamente incerto e zoppicante, ha il merito di dedicarsi a un tema difficile e ancora tabù in Italia. A trasporlo in note e suoni è Paolo Vivaldi, compositore molto richiesto in teatro e tv. L’autore romano sceglie una partitura di stampo tradizionale, orchestrale e votata più all’intensità del timbro che alla melodia, più alla struttura classica che all’arrangiamento, componendo nel finale tre canzoni che si avvalgono dell’interpretazione di Serena Menarini.
L’apertura con la title track espone, da buona ouverture, i temi principali e i temi melodici, tra cui il leit motiv che tornerà spesso, come accade ad esempio in Seduta di analisi; The Beginning of Sorrow invece si affida al solo pianoforte per tratteggiare i toni più delicati del dolore, mentre benpiù cupe sono le sonorità di Bene dal male piano suite II e III e ben più drammatiche quelle di Burden of Sorrow e l’Abisso in una fontana, brani che accompagnano, con enfasi e un pizzico di ridondanza, le scene madri. A chiudere lo score, le tre canzoni: Would You dai toni pop-rock radiofonici che con il contesto c’entrano veramente poco, I Promess, sorta di mambo molto banale (quasi un plagio della celebre Sway) e Da qui, l’unica in italiano, e la più sincera, capace di abbracciare il tono complessivo della pellicola.
Vivaldi con Maternity Blues ha purtroppo – ma in questo caso in linea col film – importato dal suo lavoro televisivo tutti i limiti di una musica volta solo a sottolineare le sequenze, a enfatizzarne l’emotività, a indicare allo spettatore quali emozioni provare. Finendo così per risultare mero commento, e nemmeno dei migliori.