Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco
Anche solo a livello di percezione, lo scarto tra una produzione americana di serie A (non come qualità, ma per impegno produttivo) e un omologo film italiano è nell’utilizzo delle musiche. Stefano Sollima scuote questa piattezza endemica. Basti vedere il lavoro fatto in Romanzo criminale-La serie in cui il funerale laico del Libanese era scandito dalle note di Total Eclipse of the Heart; e lo fa anche nel suo esordio cinematografico, ACAB. Sollima sceglie come compositori dello score originale il gruppo psichedelico romano dei Mokadelic, già autori della colonna sonora di Come Dio comanda – un bel segnale sia per scelta musicale sia per adesione a una certa visione del linguaggio audiovisivo – e rimpolpa il film con canzoni pop-rock e punk.
Come Seven Nation Army dei White Stripes, resa fin troppo famosa dai cori da stadio (scelta non casuale in un film che parla di celerini), che scandisce i titoli di testa e la vestizione dei quattro poliziotti, o il conflitto tra il nazi-rock suonato nel centro sociale fascista e l’anarchia di Police on My Back dei Clash che Favino balla una volta assolto: un riferimento al punk assennato, essendo la sigla All Cops Are Bastards creata dal movimento skinhead inglese dei ’70. Su queste canzoni ritmiche e/o contemporanee, s’innesta la partitura dei Mokadelic che gioca disinvolta con le dissonanze e l’elettronica, sottolineando in modo più diegetico il contesto psico-socio-politico di un gruppo, quella della Mobile, che cerca di porsi sempre al di sopra e oltre tutti. È anche in questo lavoro calibrato sulla musica e sui suoni che si può valutare la bontà di un film e più in generale, la forza e la modernità del suo regista. E Sollima – figlio di quel Sergio che era uno di quei registi che il mondo ci invidia(va) – dall’America specie se dei giorni nostri, non ha molto da imparare.